• Corse di questa settimana :1
  • Cani incrociati: Pochi
  • Cani che hanno attentato ai miei polpacci: 0
  • Biciclette sul marciapiede in mezzo ai piedi: Almeno 10
  • Scontri evitati: NN
  • Monopattini: Centinaia
  • Scontri con altri runners: 2
  • Scontri con (New Entry) passeggini: 0

Alle 7 di domenica mattina nel mio palazzo non vola una mosca. Silenzio assordante.

Solo io che esco con fare furtivo per non disturbare chi ancora dorme (beati loro) e per non farmi vedere in tenuta da corsa. Shorts, maglietta, faccia con ancora il segno del cuscino.

Oggi domenica di ottobre è freschetto ma c’è il sole.

Il menù offre un bel 30 kilometri. Era da un po’ che non correvo così tanti kilometri e la cosa mi spaventa.

Ne sarò in grado?

Vero che ho fatto 11 maratone e per ogni maratona 42 kilometri e 195 metri, ogni volta, tutto ricomincia da capo. Ed è sempre come fosse la prima volta. E adesso comincio ad accusare la fatica di testa e di fisico che mai avevo provato prima.

30 kilometri dove correrli a Milano senza alienarsi?

Dove se non sul naviglio in compagnia di altri runners e ciclisti conosciuti e non?

Sarà che ci penso da quasi una settimana a questo momento, facendo training autogeno, ma sento che è la giornata giusta per portare a termine l’impresa.

E se anche non dovesse andare onestamente non c’è nulla di cui doversi rammaricare, no?

Giusto il tempo farlo digerire al mio EGO. Alla fine, se ne devo fare 42 a New York, alla fine che saranno mai 30?

Quasi quasi invidio la mia amica Barbara alla sua prima maratona. L’inconsapevolezza. Per lei New York sarà il battesimo della maratona e per lei, muri, unghie nere, crampi, crisi a metà percorso, gioia, dolore e pianti sono ancora sensazioni sconosciute.

Inizio a correre piano piano, il sole appena sorto è tiepido e fa piacere sentirlo sulla schiena. Ho deciso che non guarderò il Garmin fino a che non sarò arrivata al Kaikan Centro Buddista di Corsico. Mi rifiuto di entrare nel loop tossico del “quanto manca alla fine?”

Procedo bene, nessun dolore, non ho fame, non ho sete, non sento nulla. Solo i miei piedi che battono sull’asfalto e qualche idiota in bicicletta che mi piomba alle spalle all’improvviso. Loro i ciclisti si sentono padroni della strada, soprattutto quando il Naviglio si stringe e fanno spesso i prepotenti con noi runner. Non tutti, ma alcuni sono davvero fastidiosi.

Arrivo al punto stabilito. Mancano ancora 18 kilometri all’arrivo. Due calcoli mentali e proseguo ancora per altri 3 kilometri, e sono a Trezzano. Mi fermo telefono alla mamma, prendo l’integratore, un paio di selfie e riprendo la mia cavalcata.

Arrivo a Porta Genova e poi dritta al mio Parco Marinai d’Italia dove raggiungo gli amici.

Nel frattempo, il sole è alto, scalda più forte sulla pelle, e anche i polpacci iniziano a farsi sentire, quella sensazione di avere un cane che morde il polpaccio, ma sento già profumo di casa, la percezione che inganna la testa è potente, più di qualsiasi allenamento.

Ad un certo punto della fatica, la testa comanda.

Arrivo al Marinai d’Italia non senza fatica, ma riesco anche a fare qualche allungo di 100 metri all’ultimo kilometro.

Con sorpresa vedo che il risultato è anche migliore delle aspettative del mio Coach.

E quando arrivo in zona casa, sfatta che a malapena cammino dopo aver fatto anche 5 piani di scale, cosa c’è di più bello se non sedersi al tavolino di fronte alla finestra spalancata su una Milano che ancora si sta svegliando, e fare colazione con cappuccio e brioche?

Felice entro nel portone. Il mio dovere l’ho fatto. Nessun senso di colpa.