Qual è il vero problema di Como? Ma il traffico, naturalmente! Parafrasando la celebre battuta su Palermo di Johnny Stecchino, togliamo subito il dente: l’unico neo (imprevedibile) della splendida iniziativa di Tag Heuer per stampa e best clients appassionati di ciclismo al Giro di Lombardia è stato l’imbottigliamento in città. Il traffico ci ha bloccati alla partenza, nel travaso tra le due salite e all’arrivo. Sì perché i laghee hanno il fegato di chiuderti in faccia la cucina di un ristorante alle 21.45 e di mandare a letto senza cena il turista discolo che pensa di essere a NY o a Tokyo e di trovare servizi aperti h24, ma se si tratta di chiudere le strade pre-gara magari dalla mattina presto, come fatto tra Milano e Monza in occasione della crono, ultima tappa del Giro d’Italia, ecco che scatta invece la sindrome da guerra nucleare e tutti scorrazzano in macchina in preda al panico magari solo perché bisogna fare la spesa o fuggire dai parenti prima che sia troppo tardi, ovvero prima di essere investiti da un Nibali che, a tutta birra, andrà a prendersi una vittoria meravigliosa nella 111a edizione della “monumento” delle foglie morte.

L’ormai tradizionale foto del kit pre-evento. Questa volta manca sì qualcosa… la bicicletta!

Ma, traffico a parte, che chiaramente non riguarda uno sponsor, ma l’acume dell’amministrazione di una città, la giornata organizzata per gustarsi le ultime due salite del massacrante percorso del Lombardia è stata perfetta.
È prima di tutto sempre eccitante come la prima volta vestire la tutina rosso/nera della squadra BMC Tag Heuer e sentirsi parte di un grande sogno di vittorie realizzate. E poi il mio amico Paolo Bozzuto, giovane docente al Politecnico e appassionato ciclista-autore dell’interessante libro “Pro-cycling territory”, dice su Facebook che sto proprio bene vestita così… quindi, motivo in più per sentirsi giusta nel posto giusto. Del resto l’equipaggiamento della BMC arriva a scatenare vere pazzie da quanto è bello, basti ricordare l’incredibile storia raccontata da Gazzetta, del padre e del nonno di un giovane ciclista pizzicati dopo breve indagine con una refurtiva davvero irresistibile, ovvero la bici e la divisa del pro Manuel Senni, reo di aver ingenuamente avvisato il suo meccanico, a voce un po’ troppo alta, che di lì a poco i genitori sarebbero passati a prendere le sue cose… bici compresa!

La bici BMC appositamente preparata per me riporta il mio nome!

Ma qui a Como non ci sono solo tutine e biciclette da urlo. La vera star della giornata è il grande Cadel Evans. Uno che ha vinto tutto ciò che si può desiderare: campione del mondo 2009, Tour de France nel 2011 ecc ecc
Oggi, così come dice il comunicato stampa, “lo attende una nuova sfida: restare in fuga in mezzo a 80 ciclisti amatoriali!”. Detta così in effetti l’impresa sembra proprio ardua e l’immagine evocata ricorda inevitabilmente la Uma Turman di Kill Bill, in tutina anche lei, alle prese con gli 88 folli… che abbia infine un po’ sottovalutato questo itinerario? È vero che sono solo 25 km, ma le salite di Como mica scherzano. Mah…
Cadel comunque è meraviglioso. Si dice che chi ha indossato anche solo per pochi giorni la maglia rosa già tende a tirarsela, chissà allora uno che ha portato la gialla al vertice del podio finale. E invece no. Delizioso, disponibile, fa foto con tutti, sorride e concede interviste. Un grande campione. In tutti i sensi.

Cadel Evans circondato dagli 80 amatori… agguerriti come gli 88 folli di Kill Bill!

A completamento dell’idillio lacustre alla Canottieri Lario il cielo è bello terso e l’aria frizzante. Il primo incontro? Con Gian Paolo Grossi, giornalista di Cyclist, già compagno d’avventura alla precedente iniziativa di Tag Heuer a cui ero stata invitata: l’indimenticabile crono finale del Giro d’Italia. È felice anche lui di esserci. Pochi giorni e sarebbe poi partito per il Giro di Turchia. Ma va’? Non sapevo proprio che esistesse.
È tempo però di cambiarsi e prima ancora bisogna aggiustare l’altezza della sella della super BMC con freni a disco che mi è stata assegnata. Ed anche se mi sento in colpa per aver abbandonato a casa la mia amata Sempre Pro, è davvero eccitante vedere un bolide nero verniciato in elegante opaco con il tuo nome scritto sopra. Leggerissima. Il corrispondente in forma di bicicletta di un navy seal. Tutto magnifico a parte un “piccolo” particolare: la sella. Ahimé mi sono scordata di chiedere una sella da uomo… che trauma per il mio lato B abituato all’affilata Aspide di San Marco affrontare l’ampiezza di un modello femminile. Così io e lei (la sella da donna, per di più decorata a fiori…) ci siamo subito guardate storto. E la sua vendetta non si è fatta attendere. Giunta alla partenza, dopo una breve pedalata con i compagni d’escursione, ecco che la dispettosa sellona mi sprofonda giù di parecchi centimetri. Panico. Sono tra le griglie ed anche se non è una gara che si fa? Mica posso pensare di salire a Civiglio con le ginocchia in bocca… Mi ritrovo così, last minute, a cercare disperatamente qualche bravo ragazzo con la brugola giusta. E, grazie al cielo, trovare un ciclista attrezzato è ancora più facile del cammello che passa nella cruna dell’ago. Grazie e ancora grazie.
Così si parte, lancia in resta, Cadel in testa.

Cadel Evans e le ultime spiegazioni del giro al gruppo. In primo piano a destra Gian Paolo Grossi di Cyclist pregusta già l’impegnativo percorso

Nel gruppo siamo solo due donne. La mia socia si chiama Clara ed è molto più che una ciclista amatoriale: la sua bicicletta è proprio “sua”, prodotta da lei. Il marchio T-Rex si staglia su una forma al carbonio sinuosa e tagliente. Non immaginavo ci fossero produzioni arigianali in carbonio. Clara mi spiega che è possibile, grazie all’opportunità del carbonio fasciato, e mi mostra le personalizzazioni che lei e i suoi amici hanno inserito nella decorazione del telaio. Chapeau! E complimenti anche all’energia, Clara è davvero un altro pianeta. Si butta in testa e, durante l’intero percorso, la rivedrò sporadicamente.

Clara Rampollo e le sue T-Rex a bordo lago

Ma facciamo un giro di pedale indietro. Siamo partiti, tutto bene. Ci troviamo in direzione Civiglio, direi, prima meta prevista. Eppure la salita che s’impenna davanti a me, o meglio, davanti all’autobus 5, che purtroppo non è elettrico, non è l’allucinante salita per Brunate? Quella che anche in scooter 300 si arranca a fatica? Quella che i più bypassano con la funicolare? Ebbene sì. E scopro che Civiglio è solo un poco più sotto a Brunate-là-dove-osano-le-aquile soltanto quando, a gamba ancora fredda, sto già impegnando i primi metri. Qualche burlone mi urla: “dai Laura che adesso spiana!”. Adesso? Tra 5 km forse… Avrei scommesso che la vocina fosse di Gian Paolo, ma lui in seguito negherà. Comunque non ci sono certo cascata e così, armata di poco fiato metto un altrettanto poco dignitoso 32 e spingo. Non certo alla velocità di Froome. Spingo alla velocità di un 28. Che vergogna. Ma io lo so che sono un diesel e infatti, anche se la qualità degli 80 folli-amatori è davvero molto alta, ne riagguanto qualcuno che zig-zaga scoppiato tra un tornante e l’altro. Alla fine approdo a Civiglio che sono quasi fresca: l’ho fatta praticamente alla velocità di due ragazze che avevano la bici con la pedalata assistita. Mica male.

Impegnata sulla salita per Civiglio e poi, molto più serena, all’arrivo in paese

Tempo di qualche selfie, una barretta Competition fornita dalla mia amica PR della Enervit (grazie Matilde!) e poi giù verso Como, nella famigerata discesa che più di una volta Gian Paolo ricordava fosse stata quasi fatale a Nibali. Ok, Gian Paolo, ho capito… ma con una sella da donna cosa posso fare? Quaggiù non ci sono attributi da strizzare per scaramanzia. Eppure tra cimiteri a bordo strada, dossi decorati con il porfido e buche con sabbietta ce ne sarebbe assai bisogno.
Suvvia ci sono i freni a disco. Infatti per la prima volta non mi vengono i crampi alle mani e poi, forse per l’abitudine alla velocità sugli sci, non mi dispiace affatto andare (prudentemente) a manetta. Tuttavia anche in discesa, dopo un po’, mi sono ritrovata… da sola. È strano ma a quanto pare ho un’andatura tutta mia. Sto nel mezzo. Non con i più veloci, ma neppure con i più lenti. Salita, discesa o pianura la cosa non cambia. Ed è spesso un bene, perché nel mucchio si cade.

La classe, lo stile e la simpatia di Cadel Evans

A Como ci accoglie di nuovo il traffico impanicato pre-gara ed è solo con un po’ di sgomitate che arriviamo all’imbocco della salita per San Fermo. Ascesa deliziosa. Sarà che ora il muscolo è caldo, ma me la godo proprio. La discesa è altrettanto piacevole, almeno fino al nuovo muro di auto imbottigliate. E qui succede l’inevitabile… rimasta sola, mi perdo! L’ultimo tratto, in contromano, è così denso di traffico da scoraggiare qualsiasi iniziativa e mi fa deviare verso Milano. Bzzz: strada sbagliata! Eppure il cartello indicava proprio di andare lì, a sbattere il naso sul muso di un grosso pullman. Percorso quasi un km mi arrendo a chiedere, cosa che detesto fare. La scena in sé era esilarante. Bardata di tutto punto, proprio come nella gara vera, chiedo a un carabiniere: scusi eh… sa dov’é il traguardo? …È di là, sul lungolago. Ecco qua, Fantozzi non avrebbe potuto far meglio!

L’esercito del selfie all’arrivo a Civiglio. Sono con due campioni dello “sport editoriale”: da sinistra Matteo Mursia e Ferruccio Belloni, di RCS-Gazzetta

 

Nibali vittorioso proprio sulla linea del traguardo visto dalla “terrazza RCS”. Grande emozione!
Foto ricordo con Cadel Evans: io c’ero!

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