Un viaggio tra artigianalità, innovazione e autenticità, in cui la creazione diventa un atto d’amore verso sé stessi e verso il mondo.
Architetta di formazione, designer per vocazione, Paola Sasplugas è l’anima creativa dietro il brand PDPAOLA.
In questa intervista, ci racconta il valore della bellezza come atto sensoriale e spirituale, l’importanza di ascoltare l’istinto, la forza delle collaborazioni e il suo personale concetto di “trascendenza” nel design.

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Perché hai scelto di collaborare con interior designer per sviluppare un prodotto legato al design d’interni? E come selezioni i tuoi partner? La mia passione è da sempre legata alla bellezza e al design. Sono architetta, e anche se il mondo della gioielleria è la mia casa, il design d’interni è un’altra mia grande passione. Il progetto PDPAOLA Studio è qualcosa che desideravo da tempo, stavo solo aspettando il momento giusto. Ho iniziato a collaborare con Ranieri, Francesco Meda e David Lopez Quincoces perché ho subito percepito la loro passione per la lavastone e il loro talento. C’era sintonia, parlavamo la stessa lingua creativa. È stato naturale capire che condividevamo la stessa visione di bellezza. Da lì, tutto è partito.
Perché le sensazioni hanno un ruolo così importante nelle tue creazioni? Per me sono fondamentali. Con PDPAOLA Studio, e in generale con il brand, voglio creare oggetti che non solo si indossano, ma che trasmettono emozioni. Che diano un senso di pace, equilibrio, armonia. È un aspetto profondo del nostro DNA: la bellezza come esperienza sensoriale.
Come riesci a coniugare artigianalità e innovazione, due concetti spesso considerati distanti? In un’epoca dominata dalla digitalizzazione, tornare alle origini è diventata la scelta più contemporanea possibile. Per me, l’innovazione vera oggi è proprio recuperare il valore del tempo, della lentezza, della cura. Creare un pezzo che richieda attenzione, riflessione, e non solo contenuti da cinque secondi su TikTok. L’artigianalità è un ritorno consapevole a ciò che ha più valore oggi.
Hai parlato di creatività, espressione e felicità nel creare. In che modo questi valori si riflettono nelle tue collezioni e collaborazioni? Credo molto nell’ascolto di sé e nella curiosità naturale. Siamo tutti sensibili e intuitivi per natura. Sta a noi scegliere se seguirla o ignorarla. Quando riesco a farlo, trovo la mia pace, e quel momento in cui guardo un oggetto e sento orgoglio è impagabile. È lì che la creatività incontra l’autenticità.
Se dovessi descrivere il tuo lavoro con tre parole chiave, quali sarebbero? Direi: trascendenza, amore e femminilità. Tornare all’essenza, al valore duraturo. Per me la trascendenza è fondamentale: creare qualcosa che valga oggi come in passato e che continui ad avere significato anche in futuro. Può essere condiviso tra generazioni, adattarsi a stili e occasioni diverse.
Nella recente collaborazione con Victoria Bonet per la sedia BKF, com’è stato il processo creativo, considerando anche il valore affettivo che vi lega a quel luogo? È stato un processo delicato. Victoria è una custode appassionata del lavoro di suo padre, e aveva chiaro che l’obiettivo era proteggere il DNA dell’opera. Abbiamo lavorato per riaffermare l’icona, non per stravolgerla. Alla fine, ci siamo rese conto che amavamo entrambe profondamente l’originale, e che stavamo semplicemente aggiungendo un tocco personale senza snaturarlo.
Cosa rende, secondo te, questi oggetti davvero memorabili rispetto a tutto ciò che viene creato oggi? Credo sia la qualità del disegno, il rispetto per l’artista e per la materia. È una lingua che attraversa le generazioni. È elegante e raffinata, ma anche giocosa. Un equilibrio che non è sempre facile trovare.

Se potessi collaborare con qualsiasi artista o designer, passato o presente, chi sceglieresti? E cosa ti piacerebbe creare insieme? Bella domanda! Il primo nome che mi viene in mente è Coperni. Adoro il loro approccio all’innovazione e la capacità di unire modernità e trascendenza. Mi piacerebbe realizzare qualcosa che unisse gioiello e design industriale. Ma anche figure come Philippe Starck o brand come Molteni mi affascinano. Ci sarebbero infinite possibilità.
Questo approccio sarà visibile anche nelle prossime collezioni? Assolutamente sì. Voglio portare sempre più autenticità nei miei progetti. Seguire l’istinto e dare spazio all’anima dei prodotti. PDP Studio continuerà a essere il luogo dove tutto questo prende forma.
PDP Studio è descritto come uno spazio senza limiti. Cosa significa per te “vivere senza limiti”? All’inizio ho iniziato da sola, chiusa nella mia stanza a riflettere. “Senza limiti” per me significa lasciar andare le aspettative, aprirsi alla conversazione con i collaboratori e vedere dove ti porta. È un processo di scoperta, anche personale. Può applicarsi a qualsiasi aspetto della vita, persino in famiglia. L’importante è ascoltare e lasciarsi sorprendere.

Se uno degli oggetti esposti oggi venisse ritrovato tra cento anni, cosa vorresti che chi lo scopre pensasse o provasse? Piacere e divertimento. Voglio che si percepisca quanto ci siamo divertiti a crearlo. PDP Studio è nato anche per questo: per ricordarci di non prenderci troppo sul serio, per riscoprire la gioia del gioco e della creatività autentica.
Che consiglio daresti a un giovane studente di marketing che sogna di lavorare in questo mondo? Di non avere paura di essere sé stesso. Di ascoltare davvero ciò che lo muove dentro. Quando sei autentico con te stesso, lo sei anche per gli altri. Spesso siamo troppo impegnati a piacere agli altri e poco a conoscere chi siamo davvero. Ma è proprio lì che nasce la vera connessione.
A cura di Micol Carminati e Mario D’Angelo con la collaborazione di Michela Marchesi