maratona di londra

Una maratona intensa di emozioni, di sofferenza, di sorpresa, gioia, pianto, senso di libertà, di abbandono e di realizzazione; il tutto vissuto in compagnia di amici nuovi, amici vecchi, e di quelli ritrovati con piacere.

Una gara tanto desiderata, quanto sofferta. Un sogno che è iniziato a luglio dello scorso anno e che è terminato al traguardo del 26mo miglio, metro più metro meno.

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A differenza di quella corsa nel 2017, questa se è possibile e nonostante tutto, l’ho vissuta a pieno in un turbinio di emozioni che mi hanno fatto amare ogni singolo miglio di questa meravigliosa esperienza. Che io ami Londra e l’Inghilterra in generale non è un mistero e ci deve essere qualche arcano motivo che mi lega a questa terra misteriosa che ogni che ci vado già programmo il viaggio che mi farà tornare. Una malattia, forse una ossessione, buona, un senso di appartenenza ad una nazione che avrei voluto essere mia di nascita.

Correre questa maratona per la seconda volta e avere il pettorale con cosi tanti mesi di anticipo mi ha reso credo, la persona più felice del mondo. Capirete quindi la mia emozione di riviverla.

Purtroppo l’uomo propone e Dio dispone.

Che non fosse giornata l’ho capito quasi subito, già dal 5°, 6° kilometro forse, in realtà già la notte prima non ho dormito bene, l’ansia che non suonasse la sveglia mi ha fatto svegliare mediamente ogni ora dalle 22 alle 5.30, poi la sveglia, il rito della preparazione e della vestizione senza dimenticare nulla, il viaggio in pullman con i compagni di avventura, l’attesa al campo di Greenwich al freddo, mi hanno un po’ rilassato e fino alla partenza dal settore blu insieme a migliaia di altri runners che mi ha fatto battere il cuore e ha dato il via al mio sogno.

Siamo partiti bene, con calma, senza ansia o spintoni, in fondo eravamo tutti “the mass” gli ultimi a partire della maratona, eravamo tranquilli e sorridenti io, Angela e Luca, in formazione spontanea dopo lo START, uno a fianco all’altro senza quasi neanche mettersi d’accordo. Abbiamo salutato, applaudito, mandato baci e sorriso alle persone che dalle tribune che ci incitavano e poi via sempre spontaneamente ognuno col proprio passo verso la propria strada.

Per un po’ sono stata fianco a fianco ad Angela, avevamo un sogno, quello di chiuderla sotto le quattro ore, se non altro io avrei voluto eguagliare il risultato di due anni fa, 3.51. Per un po’ tutto è andato bene, poi la testa ha cominciato a fare i capricci, i cattivi pensieri hanno iniziato a farsi sentire sempre più potentemente, cosi come il male allo stomaco e la nausea e poco dopo oltre la mezza maratona anche i crampi ai polpacci.

Non ricordavo fosse un percorso tutto falso piano e salitelle strappa-gambe, e no, non è una scusa, solo, mi chiedo, ma come è possibile che abbia rimosso a distanza di sue anni? Vero è che una volta tagliato il traguardo dimentichi tutto, i dolori, la fatica, le sofferenza e resta solo la gioia di aver compiuto un qualcosa di meraviglioso. Deve essere per forza così, la salita, la nave di cui mi parlava Valeria, uno dei punti in cu avremmo dovuto aspettarci il loro tifo, il ricongiungimento con l’altro gruppo della wave partita dopo di noi.

Il tifo assordante. No due anni fa non era cosi, ricordavo dei punto morti di silenzio tra Grennwich e l’ingresso al Tower Bridge. Ricordavo la quantità di gente da superare, le sgomitate, i “sorry” mentre tagli la strada o mentre altri runners te le tagliano, il zig zag sulla strada per guadagnare metri importanti, quello si lo ricordavo cosi come i lividi sulle braccia post gare.

Oggi il tifo assordante diventa a tratti quasi fastidioso quando mi prendono i conati di vomito e vorrei solo nascondermi lontano da tutti, in un punto in cui nessuno mi possa vedere, ma il muro di gente non lascia scampo e ogni volta, che mi fermo per riprendermi, decine di mani sconosciute mi incoraggiano e gente sorridente mi manda parole di conforto e cerca di supportarmi in ogni modo.

Vorrei fermarmi e tornare al sicuro e al caldo della mia camera di albergo ma ritirarsi non è una opzione nemmeno da considerare, un passo al volta, ma io vado a prendermi quella maledetta medaglia, lo devo a loro che mi supportano, al mio coach, ma soprattutto lo devo a me stessa, ai mesi e mesi di preparazione, tabelle, kilometri macinati contro voglia la mattina all’alba o la sera al buio dopo giornate infernali al lavoro. Perché lavorare nella moda e nella comunicazione è bello, un po’ meno se hai una maratona da preparare e sulla passerella ci devi andare tu il giorno della gara.

Avanti Greta mi ripeto ad ogni passo anche quando riprendo a correre e la nausea non mi da tregua, allora alterno qualche passo di camminata, e poi ma  chissenefrega del tempo, mollo il colpo, tiro il freno a mano e mi godo il momento e questa meravigliosa esperienza.

Quando arrivo al Tower Bridge è un onda d’urto che mi invade dalal testa ai piedi,  gente che grida, un tifo da stadio che mi percuote da testa a piedi, mani che si allungano per toccarci e poi c’è lui il Tower Bridge nella sua maestosità che ingloba tutti noi runner in un’altra dimensione.

Siamo parte di un qualcosa più grande di noi, sensazioni, emozioni che ti fanno sentire vivo, libero e felice di essere li ora. L’essenza di Londra e dei suoi abitanti e di quello che questa città meravigliosa riesce a fare lo trovi tutto li sulla passerella di quel ponte. Tiro fuori il telefono e faccio un video perché questa emozione non svanisca e mi accompagni anche più avanti al mio rientro in Italia, e mi prende il magone, comincio a piangere e i singhiozzi mi impediscono di respirare, rantolo mentre le lacrime mi scendono lungo la guance e mi appannano gli occhiali, non vedo ma seguo la scia di chi mi precede.

L’emozione è totale e divento tutt’uno con questa folla di gente meravigliosa, e poi a sinistra eccola là, la Torre di Londra, domina dall’alto la gara e sembra sostenere la fiumana di gente che corre al suo cospetto, la supero senza staccare gli occhi e già mi manca quando giro lungo il viale a destra che mi porta verso la periferia, ma so che la ritroverò di nuovo al 40 kilometro….  Il 40mo, ho di poco superato la metà gara e sono conciata da buttare via, e il 40mo sembra davvero un miraggio, coraggio mi ripeto, sarà una lunga giornata.

Rientro nel mio torpore misto a rassegnazione ed ecco che sento gridare a gran voce il mio nome, mi riprendo, guardo attorno e vedo Stefano che si sbraccia per salutare e grida come un forsennato, era quello che ci voleva, una carica di energia mi pervade e comincio a saltellare come una cavalletta, ostento tranquillità, in realtà mi seno sotto un rullo compressore, ma  avanti cosi, altre tre kilometri sono andati, con la mia nuova energia ritrovata ne percorro altri e guardo dalla parte opposta della carreggiata i runner che sono già sulla via del ritorno, li invidio, e anche tanto e più di un volta il diavolo tentatore che non mi da tregua dal quindicesimo kilometri mi sibila come sarebbe facile tagliare la strada, buttarsi a sinistra, sgusciare sotto il nastro divisorio e via è un attimo e passi di là, un bel venti kilometri in meno, che ti frega? Ma chi voglio prendere in giro? Me stessa in primis e chi la vuole una medaglia guadagnata con l’inganno? Io non sono cosi e avere questi brutti pensieri non è da me, oggi proprio non è giornata.

Avanti Greta, basta pensare a stupidate, guardati intorno, inganna la testa e ringrazia di essere qui ora a vivere questa meravigliosa avventura sulle tue gambe,  ringraziare tutte queste persone che hanno sacrificato la loro domenica di riposo per venire a tifare dei perfetti sconosciuti.  Vivila. Guardo il Garmin, siamo a 24, non passa più e non vedo nemmeno la fine della strada dove c’è il giro di boa che mi riporterà verso il centro città e la fine di questa agonia, vedo solo gente che corre e una maledetta strada tutta in salita, che poi al ritorno spero sarà in discesa….. forse, non so, butto un occhio a sinistra e vedo che anche loro sono in salita….. qualcosa non torna, mi sto fissando su giochi della mente e sto entrando in un loop negativo, non va bene. Cerco di distrarmi e pensare ad altro che non sia la corsa. Ok calcoliamo quante miglia ho percorso e quante ne mancano al traguardo. 1 kilometro e 600 metri corrisponde a un miglio, se io ho fatto 25 kilometri quante miglia sono? Sempre stata una capra in matematica e per un po’ mi imballo, ma poi mi stufo e guardo il Garmin di nuovo. E macino altri due kilometri. La nausea è un po’ passata, meno male, corricchio piano piano con calma, sempre meglio che camminare.

Arrivo in zona 30 kilometri ecco forse qua dovrei trovare Valeria e Gabri con i cartelli del tifo, era al 30? Si mi pare di ricordare che per il primo punto in cui si sarebbero posizionati per fare il tifo al 30mo kilometro. La gente urla, persone a file doppie e triple dietro le transenne, impossibile, non li ritroverò mai in tutto questo casino, se li vedo mi fermo e li abbraccio, cosi mi riprendo. Mi do un tono, almeno cerco di farlo, corro ostentando sicurezza e spavalderia e cerco un cartello, una scritta, un grido che attiri la mia attenzione, ma nulla. Non li trovo, non importa Greta vai avanti cosi che stai andando bene, hai superato il 30 ne mancano solo più 12, sono niente per te, 12? Una eternità. Dividili in tre tappe. 5+5+2. Arriva ai prossimi 5, poi altri 5 e gli ultimi due avrai il Big Ben, Westmister e Hyde Park a darti la carica e poi questa agonia sarà finita e avrai la medaglia al collo. Mi riprendo un po’, anche se dispiaciuta di aver perso gli amici ed ecco i maledetti crampi di nuovo….. ma porca miseria, manco avessi tirato come una dannata, è la salitella, maledetta salitella, altro che Londra è piatta, ma chi l’ha detto? Cammino e mi sento due carlini agguerriti che mi azzannano ai polpacci.

Arranco, mi fermo, mi tiro prima una poi l’altra gamba e mentre lo faccio  incrocio lo sguardo di un bambino che mi batte il 5 mi mostra il suo cartello “you make the BREXIT look fast” e mi scappa un sorriso, nel mio angolo mentre faccio stretching ai polpacci, rido da sola,  anche solo per questo ne è valsa la pena di essere qua anche se ridotta come sono. Gli schiaccio l’occhio e gli dico: “you made my day” e riprendo la mia corsetta, le gambe sono un po’ migliorate.  Guardo il Garmin, in fondo tra una cosa e l’altra, ne mancano altri 7. Stringo i denti e vado, riprendo a correre piano piano, il falso piano non molla, e adesso mi fanno male anche le cosce verso la parte inguinale, non c’è tregua oggi, va così. Poco alla fine. Resisto.

Un passo alla volta, sorrido e mi godo il panorama di Londra. Sono ormai sulla riva del Tamigi, Big Ben e la statua di Churchill sono là in fondo che mi aspettano e insieme a loro gli ultimi kilometri. Mi metto in centro alla strada, mi affianco ad altre persone sfiancate come me, chi rallenta, chi cammina, chi si ferma, chi si tira le gambe, chi mi sorride e continua la sua corsa, chi mi batte una mano sulla spalla “keep going, almost finish”…è un fiume di emozione che mi invade, sicuro la prossima vota che Valeria mi dirà dove trovarla a far il tifo, mi ricorderò.

Ricordo ogni singolo metro di questo tracciato da Greenwich a qui. La volta scorsa è stata quella del tempone, quella del corro e non guardo in faccia nessuno, questa gara è stata quella del se corro è già un successo, mi sono fermata a tutti i punto di ristoro e ce ne sono tanti credetemi,  ho fatto video e selfie e mi sono anche detta “forse le maratone non fanno per me, meglio smettere e concentrarsi sulle mezze o sulle dieci kilometri….” Pazza, si tu credici, forse mi è passato di mente che ho già fatto il ballottaggio per Londra 2020 e pure ipotizzato l’ iscrizione alla maratona di  Boston 2020.

Ed è quando sono a 800 metri dal traguardo che sento gridare il mio nome, ed eccoli lì Valeria, Gabri, Andre a Sophia che si sbracciano e mi mostrano i loro cartelli che non riesco a leggere, il loro entusiasmo mi da la carica per tirare questi ultimi metri, avrei voluto andare da loro e abbracciarli uno a uno, ma non scherziamo qui se mi fermo, non riparto più, (scusate ragazzi), rinvigorita da questa ultima sorpresa, arrivo a Buckingham Palace mi giro e comincio a piangere perché so che là in fondo alla mia destra c’è il traguardo e allora rallento ancora se possibile e mi gusto gli ultimi metri, ora che sono alla fine non vorrei arrivare, e insieme a mille altre persone, alzo le braccia e mando un bacio in cielo, se Uncle Peter fosse ancora qua sarebbe fiero di me e vorrei tanto mostrargli la mia medaglia.

Quella medaglia che una signora mi mette al collo mentre mi dice “Congratulations, well done lady”.

Piango in silenzio e mi gusto questo momento solo mio. Solo chi corre una maratona sa il significato di avere quella medaglia al collo.

Sono stanca, diciamo pure letteralmente cotta, non riesco quasi a camminare, ma sono immensamente felice. Ed eccola là Angela che mi aspetta di fronte al camion del ritiro borse con il suo sorriso più bello “amica” mi dice “ ce l’ho fatta…. L’ho finita in 3.59.00” la abbraccio per complimentarmi e lei mi sussurra: “ questo weekend lo chiameremo…. Tu chiamale se vuoi emozioni”.

Luca arriverà poco dopo e ci ricongiungiamo con il resto del gruppo, i nostri preziosi supportrs, perché si, nonostante tutto….. Boston 2020 ci aspetta!