Il parco Forlanini all’alba immerso nella nebbia illuminato dalla luce fioca dei lampioni ha un che di inquietante, eppure due volte a settimana punto la sveglia alle 5.25 e mi alzo per andare a correre con il gruppetto di amici che regolarmente si ritrova il martedì e il giovedì  mattina in zona Milano Est.

Alternativi? Malati? Folli? Sicuramente malati di quella voglia di vivere e di quella gioia che solo le endorfine e la corsa ti sanno regalare.

Avete mai visto il sorriso di un runner dopo la corsa quotidiana o dopo una gara o anche solo dopo aver superato il limite che si era prefissato? Ineguagliabile.

Non nascondo che spesso la sveglia all’alba è tutto tranne che piacevole e io stessa al mercoledì sera quando la punto alle 5.20 mi chiedo se sono pazza o che sia successo in questi 6 anni nella mia vita che mi ha fatto cambiare radicalmente le mie abitudini. Tutto o quasi ruota intorno alla corsa e alle sensazioni che riesce a regalarmi.

Ripenso a questo stesso periodo dello scorso anno quando ero in procinto di partire per la mia prima maratona, quella di New York.

Un momento sofferto, deciso, preparato e condiviso con tre (più 2 a casa) persone meravigliose. Annalisa, Raffaella, Rossana con le quali ho condiviso il viaggio e Samantha e Valeria a fare il tifo da casa e a sognare insieme a noi per quei 42 kilometri e 195 metri. Sono nostalgica lo so, ma oggi va così.

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Certe esperienze nemmeno il tempo le può cancellare, certe emozioni diventano il carburante delle tue giornate, sapere di avere amicizie vere che vanno oltre la quotidianità e il lavoro ti mette in pace col mondo perché sai che c’è sempre una persona sulla quale poter contare a cui poterti rivolgere nei momenti difficili, perché solo chi è tanto folle da alzarsi alle 5 di mattina per correre pochi kilometri in compagnia o che affronta un viaggio oltre oceanico in pieno periodo di press day e presentazioni, per fare LA maratona quella maratona che tutti definiscono Regina, quella che molti sognano e pochi riescono a fare a causa dei costi eccessivi o degli impegni famigliari, sono persone davvero speciali e della loro compagnia non se ne hai mai abbastanza.

Perché la corsa regala anche queste emozioni, non solo, la corsa fa nascere solidi rapporti tra persone che diversamente mai avresti pensato di incontrare o di conoscere.

Il 27 ottobre di un anno fa, ricordo che eravamo all’aeroporto della Malpensa in procinto di partire per la nostra avventura, correre la Maratona di New York. Non avevo idea di cosa mi avrebbe aspettato e ora che lo so, un po’ mi dispiace di aver perso quella incosciente curiosità della scoperta e della sorpresa,  ma ho anche capito che sono emozioni che voglio ripetere ancora.

Il mio prossimo obiettivo è la maratona di Valencia del 20 novembre, so già che sarà un viaggio lungo e bellissimo che mi vivrò per ogni singolo metro.

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Nulla sarà come correre in una città che tifa per te e che vive per un giorno l’anno totalmente per supportare i runners che si cimentano nella regina delle gare, non importa se finiranno in tre, quattro, sei ore o se arriveranno nel cuore della notte, ci sarà sempre qualcuno ad aspettarti al traguardo e a fare il tifo per te lungo il percorso perché chiunque decide di correre una maratona merita rispetto e il tempo non conta.

Di quel giorno ricordo le grida di incitamento delle migliaia di persone dietro le transenne lungo tutto il percorso, in attesa dall’alba di vedere passare noi corridori. I poliziotti schierati in fila nel centro della strada che fanno battono le mani, quelle strade immense di fronte a te di cui a fatica vedi la fine, il rumore sordo del battere scadenzato dei passi sui ponti di Verrazzano, il Quinsborough, il Willis Avenue e il Madison Avenue che ti porta dritto dritto a Central Park dove il bagno di folla ti inebria e ti da la carica, ed è esattamente quello di cui tu hai bisogno dopo aver corso ininterrottamente per 38 kilometri e poi i bambini, di tutte le età e di tutte le etnie che ti sorridono, ti battono il cinque per darti la carica e che ti offrono caramelle e pezzi di frutta guardandoti con occhi di ammirazione mista ad incomprensione, chissà che penseranno veramente di noi che decidiamo di trascorrere la domenica correndo in lungo e in largo una città blindata di inizio novembre?  Se ci ripenso ho i brividi.

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In una maratona come New York non hai spazio per pensare alla fatica, New York è una lunga passerella di emozioni, ho pianto, ho applaudito, ho ballato, ho scattato foto con l’ I-phone, ho fatto gruppo con runners occasionali e preziosi compagni di viaggio, non ho mai smesso di esse felice anche quando la fatica fisica si è fatta sentire, ho combattuto i dolori col sorriso e mai nemmeno per un solo istante ho pensato di mollare,  mai una volta mi sono detta “non vedo l’ora che sia finita”…. Anzi il contrario, mi dicevo e quando sarà finita? Io ne voglio ancora di questo entusiasmo, di questa gioia, voglio ancora New York che tifa per me.

Anche quando i dolori alle anche si facevano sempre più pressanti, le dita dei piedi cominciavano a fare male nonostante i cerotti a doppio, triplo strato, le abrasioni causate dal reggiseno sportivo cominciavano a sanguinare.

 

Me lo avevano raccontato che sarebbe stata una esperienza fantastica, ma mai avrei immaginato ad una cosa del genere.

Ancora oggi a distanza di un anno quasi, mi commuovo quando lo racconto, e ci ripenso, le unghie dei piedi perse sono ricresciute ciò nonostante ogni volta che le guardo, ripenso che si, ce l’ho fatta, I DID IT e non solo a New York,  l’ho ripetuto altre due volte, ad aprile alla Maratona di Milano e a giugno alla Monza-Resegone in maniera ancora più estrema.

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Solo chi prova una simile esperienza, riesce a riconoscersi e ad instaurare un rapporto, non servono parole e fronzoli di contorno, chi ha corso una maratona si sceglie, si trova e continua a correre perché ormai non ne riesci più a fare a meno e quando non lo sai ti senti in difetto, un po’ come quando hai bigiato a scuola e non puoi (o non vuoi) dirlo a mamma e papà, ma il senso di colpa ti attanaglia fino a quando decidi di vuotare il sacco. Così è la corsa, se manchi un allenamento, un ritrovo di gruppo, il giorno dopo esci e, di solito fai il doppio di quello che avresti dovuto fare da tabella per sopperire ai sensi di colpa, forse per scaricarti la coscienza o semplicemente per (ri)-trovare quella pacatezza anestetizzante che ti aiuta ad affrontare la giornata in ufficio soprattutto quelle peggiori iniziate sotto una luna storta.

Poi c’è chi si cimenta nei 100 kilometri de Passatore o in 90 Kilometri di trial… ma quaesta è un’altra storia.

 

“These vagabond shoes are longing to stray  and step around the heart of it, New York, New York

I wanna wake up in the city, that doesn’t sleep, to find I’m king of the hill, top of the heap. “ New New New York Minnelli Sinatra