A me nessuno lo aveva spiegato quanto fosse duro prepararsi per una maratona, men che meno per la maratona per eccellenza, la Maratona di New York.

Più il tempo passa e i giorni che mancano all’ora X diminuiscono, e più me ne rendo conto. Non si tratta semplicemente di mettere un piede davanti all’altro per 42 kilometri e 195 metri fino a che non si arriva al traguardo. C’è molto e molto di più dietro.

Ore 6 di domenica mattina, la sveglia suona (di nuovo). Fuori è buio, ho sonno e nessuna voglia di correre. Il meeting point di ritrovo per l’allenamento di oggi è il Campo XV Aprile alle ore 8, programma di oggi… IL LUNGHISSIMO che tradotto per i non Runner (le persone normali) altro non è che correre 33 Kilometri a ritmo maratona.

Meglio fare una buona e abbondante colazione oggi, per essere sicuri di avere le forze necessarie per affrontare la sfida che ci aspetta. Prendo tacchino, prosciutto cotto e bresaola… li guardo e ecco no, non ce la posso fare a mangiarli… ripiego su gallette di mais e tanto tanto tanto sciroppo di acero, una banana, cafferone e per non farmi mancare nulla, anche un caffè espresso. Non riesco ad ingurcitare altro per ora. Sono pur sempre le 6.30 di una fresca domenica autunnale e io, incredibile, sono già attiva nella mia cucina.

Mentre mangio penso… Mai fatti cosi tanti kilometri in un colpo solo! Siamo sicuri di voler continuare con questa pazzia? Del resto ormai manca davvero poco, meglio stringere i denti e non rimuginarci troppo.

Cosi, dopo aver svegliato il cervello e averlo convinto che, si è domenica e si vorrei tanto dormire ad oltranza, ma dopo la corsa di oggi sarò così felice che sarò addirittura contenta di essermi alzata così presto, mi preparo veloce e con il mio bel completino da runner, mi dirigo verso la fermata della metropolitana.

Scelta difficile quella dell’abbigliamento adeguato per la corsa, soprattutto nei periodi del cambio di stagione. Non sai mai come vestirsi, se troppo o troppo poco, soprattutto se quando esci di casa è ancora buio e non ti è possibile individuare che tipo di giornata sarà.

Il decalogo del bravo runner dice che per l’abbigliamento ideale, devi calcolare 10 gradi in più della temperatura esterna. Opto per pantaloncini e maglia a mezza manica, scarpe fresche di shopping usate pochissimo (mai, mai, mai, farlo, se non sono scarpe rodate o è un modello di calzatura che non avete mai provato prima. Sempre meglio usarle e camminare qualche kilometro prima di sceglierle per correre). Per il percorso che mi porta al campo, decido però di coprirmi con pantalone lungo e felpona Hollister imbottita, anche se a tradimento, un secondo dopo averla indossata, mi ricorda il teporino e la morbidezza del letto. Ma resisto.

Fuori l’aria è freschina, la città inizia ad illuminarsi, sembra che sarà anche oggi un’altra bellissima giornata di sole. Incredibile, nonostante l’ora e la giornata festiva, Milano è già in fermento, gente che cammina, gente che fa colazione all’aria aperta, biciclette, auto, motorini, gente che va a EXPO o in Fiera Milano City, gente che si dirige verso la partenza della DeejayTEN, che giusto oggi ha raccolto ben oltre 25.000 iscritti.

La linea rossa della metro già trabocca di gente e prendere il treno per QT8 diventa un’impresa, soprattutto per una che con i mezzi pubblici ha molta poca familiarità e dimestichezza.

Salgo al volo e mi infilo tra gruppi di persone piazzate di fronte alle porte e mi dirigo verso l’interno del vagone dove sembra esserci un po’ più di spazio vivibile. Incredibile, trovo addirittura un posto libero e mi siedo. Mi guardo in giro, le sacche gialle fluo della DeejayTEN spiccano ovunque. Sorrido tra me e me, mentre li guardo e ripenso che appena iniziato a correre aspettavo con ansia l’appuntamento annuale della DeejayTEN. 10 kilometri tra le vie più pittoresche e caratteristiche della mia amata Milano, tra musica, divertimento, la classica gara/corsa da fare con gli amici, vestiti tutti con la stessa maglietta che ti permette di parlare liberamente con tutti e fare due chiacchiere mentre corri da una parte all’altra della città.

Non avessi investito nella Maratona di New York, probabilmente l’avrei corsa anche io con i #cityrunners, ma oggi no, Coach Danilo ha in serbo per noi un bel 30/33 kilometri in zona Montagnetta di S. Siro e lui, ci seguirà per tutto il tempo in bicicletta con borracce e integratori scrutandoci da testa a piedi nel vero senso della parola, a nostra insaputa. Dal risultato di questa prova dipenderà la scheda per il prossimo allenamento e cambieranno se in bene o in male non si sa, le aspettative per la Maratona.

La coscia della gamba destra ancora mi fa male, non so se e per quanti kilometri riuscirò a correre, e come reagirà il mio corpo alla corsa, ma io comunque ci provo. E mentre sono assorta nei miei pensieri un ragazzo seduto di fronte a me che mi guarda da un po’ mi dice “anche tu fai la DeejayTEN?”, “ehm no, vado a correre 30 kilometri di preparazione per la maratona di New York”… Ganassa, mi son detta, magari ci è rimasto male…

Però… È la verità! Cosi magari a forza di dirlo agli altri mi autoconvinco e mi do la carica da sola, tanto per cominciare.

Noi runner, siamo strani… Logorroici, monotematici, insistiamo perché la gente si avvicini alla corsa, salvo poi puntualizzare che beh… Io sto preparando la Maratona!

Non è questione di denigrare o sottovalutare l’impegno e la fatica di chiunque abbia il coraggio di approcciarsi alla corsa in modo serio e continuativo. Questi aspetti non vanno mai sottovalutati, anzi. Ho amici che percorrono i 10 kilometri nello stesso lasso di tempo che io impiego a mettermi il mascara la mattina. Grandissimi loro e tanta ammirazione per i loro risultati.

Tutti abbiamo iniziato da zero, abbiamo fatto fatica e ci mettiamo costantemente alla prova con i nostri limiti. Io ho deciso di vedere che succede dopo i 10, dopo i 21, dopo i 33… e per ora arriviamo ai 42, poi chissà!

Ecco sono arrivata. A fatica riesco a scendere alla fermata QT8 e cammino fino al Campo XXV aprile, dove ritrovo i compagni di avventura. Saluti, due chiacchiere veloci, stretching e via che si comincia l’allenamento. Tutti abbiamo voglia di iniziare e finire presto, un po’ curiosi, un po’ desiderosi di rientrare e goderci il resto della domenica in famiglia, un po’ per vedere cosa c’è oltre la barriera dei tuoi limiti che fino ad oggi ci eravamo posti.

Serve una scelta forte, qualcuno che ti sprona, l’antagonismo del gruppo, un obiettivo che ti spinga ad andare oltre. Ormai qui non si tratta più di endorfine e corse mattiniere per raccogliere le idee prima di una giornata di lavoro. Questo è lavoro duro e serio che mette in discussione parecchie cose di te, del tuo Io inconscio, della tua personalità, delle tue scelte di vita.

Una volta superato il limite, quale sarà la tua reazione? Quali altre sfide sarai pronto a preparare? Oppure deciderai che l’obiettivo è raggiunto e va bene così e tornerai alle corse tranquille e mattutine al parco sotto casa?

Poco dopo la partenza, il gruppo si sgretola abbastanza velocemente, passi e ritmi diversi fanno la differenza, si formano mini sottogruppi. Al solito, fanalini di coda: io, Michele, Rossana e Annalisa che ce la parliamo e ce la ridiamo come se stessimo facendo una scampagnata in totale relax. Presto però Annalisa accuserà dolori e mollerà poco dopo i 2 kilometri. I problemi alla sua gamba, nonostante la fisioterapia non sono ancora passati. Restiamo io, Michele e Rossana e mano a mano che i kilometri aumentano le chiacchiere lasciano il posto alla concentrazione sulla corsa. Teniamo un buon ritmo e i kilometri sfilano senza che io me ne accorga, mentre corriamo tra Stadio di San Siro, Montagnetta e Ippodromo. Una sorta di circuito da percorrere 9 volte. Le gambe girano bene, dolori non ne ho. Bene così.

In un baleno mi ritrovo a 17… dai dai che abbiamo superato metà della strada da percorrere, mi dico… ora è tutto in discesa… pensavo… io, nella mia totale inconsapevolezza.

Invece da quel momento in poi, vuoi il caldo estivo che nel frattempo si è fatto sentire, vuoi i kilometri macinati, comincio a sentire nell’ordine: leggeri crampi al polpaccio sinistro, bruciori da escoriazioni causati dal reggiseno sportivo e, per non farci mancare niente, vesciche sotto la piante dei piedi… E io che pensavo fossero sassolini entrati tra un passo e l’altro, hai voglia a togliere e rimettere le scarpe!

Con i fastidi anche la fatica comincia a farsi sentire e la concentrazione se ne va a…… farsi benedire. Non bene.
Di mollare non se ne parla, oltretutto Coach Danilo fa capolino da ogni dove, quando meno te lo aspetti, pedalando a volte anche contromano per darti il tempo, spronarti, allungarti una barretta energizzante e dirti che mancano SOLO 13 kilometri al termine dell’allenamento. Vesciche a parte, le gambe continuano a reagire bene, i crampi sono passati e la testa mi dice che i 30, caschi il mondo, li devo finire, magari rallento un attimo il ritmo, mi concentro sulle scarpe di Rossana che corre di fronte a me e cerco di non pensare alla fatica. La Grande Mela è là che ci aspetta e non la possiamo deludere nessuno, ma in primis, noi stessi, cosi come non possiamo deludere tutti i nostri “supporter”, amici, familiari, compagni di corse, colleghi conoscenti e chi avrebbe voluto essere con noi ma che per un motivo o per l’altro non ci è riuscito quest’anno.

E allora si, mi gaso e aumento ancora un attimo il ritmo, sorrido e sono felice quando penso tra me e me… cazzorala!! Ma io sto andando a correre la Maratona di New York… Se ripenso che da piccola non volevo neppure indossare una tutta da ginnastica!

Papà me lo racconta sempre “ti avevo portato nel negozio di articoli sportivi più bello di Salò per comprarti tuta e scarpe da ginnastica per correre la BISAGOGA (manifestazione podistica non competitiva di 8 kilometri sul Lago di Garda tra Salò e dintorni ndr) e tu al momento di indossarle, hai iniziato a rotolarti per terra come una indemoniata gridando che TU la BISAGOGA l’avresti corsa in pantaloni e stivaletti!”…. e così fu! Da quel giorno in poi ho iniziato a familiarizzare con il dolore e con le vesciche ai piedi, e soprattutto, ho imparato a sopportare in silenzio, senza lamentarmi, per non darla vinta a chi ti aspetta al varco con un “…Te l’avevo detto io!”

Non nascondo che gli ultimi 4 kilometri sono stati davvero duri, non tanto le gambe e i piedi quanto le anche, che hanno iniziato a farsi sentire, in maniera costante, quasi dolorosa, ma l’emozione di aver raggiunto l’obiettivo era tanta, troppa, tanto che l’ultimo kilometro ho deciso di correrlo a tutta velocità, con tutta l’energia che ancora avevo in corpo, come una pazza tarantolata per sfogare tutta la mia gioia, ridevo da sola perché è stato esattamente in quell’ultimo kilometro che ho raggiunto la consapevolezza che sì, io posso farcela! New York non ti temo!