roberto re intervista coach

Abbiamo incontrato Roberto Re, colui che possiamo definire il coach dei coach, per scoprire come si diventa persone di successo.

Roberto è famoso per i suoi corsi sulla crescita personale e per suoi libri, da “Leader di te stesso” a “Cambiare senza paura” fino al celebre “Smettila di incasinarti” ma anche per i suoi seguitissimi podcast su Spotify.

Se oggi apro Facebook vedo le “offerte” di decine e decine di coach. Un utente medio come fa a capire verso quale offerta indirizzarsi? Credo sia un problema, perché l’utente “normale” non può effettivamente capire come destreggiarsi. Il problema che abbiamo oggi per via del web marketing è che chi comunica bene è in grado anche di vendere merda. Questa è la verità. Ci sono web coach, coloro che fanno video belli e meme fatti bene con tanto di frasi e scritte accattivanti, che poi valgono zero. Secondo me le persone dovrebbero guardare i risultati reali, non solo il numero di like, ma gli anni di esperienza e le testimonianze di altri utenti, anche di un certo livello. I numeri uno si appoggiano ai numeri uno. Penso che si debba stare alla larga da quelli che hanno belle parole e belle promesse, ma pochi risultati. Capisco però che, così come per le fake news, è difficile capire dove sta la verità.

Il tuo consiglio? Andare oltre le promesse comunicate e vedere quali risultati sono stati ottenuti. Io, se dovessi scegliere un formatore, preferirei uno che è nel mestiere da almeno 10 o 15 anni. Se dopo 15 anni un formatore lavora ancora con discreto successo allora qualcosa deve valere. Ti faccio un esempio: la vita bella sui social ce l’hanno tutti, il segreto è nel vedere come stanno poi davvero una volta chiusa la porta di casa. Questo è un po’ il paragone che mi viene da fare.

Facciamo un passo indietro. Come sei partito? Ho iniziato quando ancora questo mestiere del coach non esisteva. Ci sono capitato per caso, quando avevo 20 anni. Ho partecipato a uno dei primi corsi per studenti che conteneva un sacco di messaggi su come utilizzare la propria mente. Da lì ricevetti i primi rudimenti su quello che poi è diventato il mio mestiere. Era la fine degli anni ’80 e all’epoca era un’attività davvero rivoluzionaria: internet non esisteva e sui giornali non se ne parlava, però è stata una scoperta che mi ha aperto gli occhi. Poi ho iniziato a collaborare con questa organizzazione guidata da un signore che aveva vissuto in America e Australia. Quella fu la prima fucina di formatori, perché lui era un grande comunicatore e noi ventenni avevamo già sviluppato, grazie a lui, delle capacità e abilità che all’epoca non avevano neanche i manager. Alla fine del 1991 l’oganizzazione è saltata e io, Livio Sgarbi e Roberto Pesce abbiamo creato HRD. Siamo partiti molto umili, apassionati e spavaldi ma anche un po’ spaventati da non avere più alle spalle il grande brand. Abbiamo iniziato a girare e cercare altri maestri per imparare cose nuove; ho così incontrato Tony Robbins e da lì ho fatto il vero salto di qualità diventando, nel 1996 il suo assistente e poi nel 1997 un suo trainer. Alla fine degli anni ’90 siamo stati i primi a tenere quel tipo di corsi in Italia. Da lì è stato tutto in crescita. La gavetta per me è stata fondamentale. Quando ho incontrato Robbins, lui ha iniziato a darmi la consapevolezza di attività che io già facevo senza saperlo (un esempio è la PNL). Se tu già sei capace, quando diventi consapevole della capacità, è naturale che performi al massimo.

Ci puoi citare qualche nome di persone che hai seguito e che hanno avuto successo? Sono tantissimi. Nello sport la soddisfazione più grande è stata con Jessica Rossi la medaglia d’oro a Londra. Dal lato imprenditoriale tantissimi altrettanto. Il 70-80% dei miei studenti sono professionisti o imprenditori. Le storie di successo delle persone che hanno frequentato i nostri corsi ormai non si contano più. Abbiamo una soddisfazione del cliente del 97%. Circa i 2/3 dei nostri studenti migliora considerevolmente. Questo è potuto succedere perché noi siamo passati dal tenere corsi al proporre percorsi. Siamo l’unica organizzazione in Europa con scuole fisse nel territorio, abbiamo 20 scuole in Italia, 2 in Spagna e ne stiamo aprendo anche altre. Questo fa la differenza: ad organizzare un evento sono capaci tutti, per creare una struttura come la nostra invece ci voglio anni e la presenza sul territorio crea una differenza enorme.

Voi avete sede a Milano, poi? Siamo presenti in altre 20 città in Italia.

Quanto ti indispone che ancora oggi ci sia scetticismo intorno a questa materia? In realtà non così tanto. Ci sono abituato. Mi intristisce il livello di ignoranza medio che c’è. Noi in Italia siamo molto chiusi mentalmente, nonostante siamo stati la culla della civiltà, ma per altri versi siamo davvero refrattari al cambiamento e contemporaneamente siamo presuntuosi. Questo ci colloca indietro di 10, 20 o 30 anni rispetto ad altri paesi. Per molti io sono una specie di cartomante che prende in giro le persone! Si tratta di non conoscenza, ignoranza, ma questo non mi infastidisce. Il fatto che uno si faccia pagare per insegnare qualcosa all’italiano medio fa arrabbiare, perché la formazione è sempre stata concepita come gratuita (basti vedere anche come sono percepite le scuole private). Nel mondo anglosassone, invece, le università si stra-pagano e le istruzioni di un certo tipo vengono pagate e altamente riconosciute. Il problema è fortemente culturale, è una questione di mancanza di conoscenza.

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Non pensi che possa essere un problema di generazione? Sì, sicuramente sì. I podcast nel mondo esistono da tre anni, in Italia è esploso tutto negli ultimi mesi. I miei podcast mi hanno dato una misura in materia di popolarità. In 48 ore il mio podcast è andato primo in classifica in Italia. Non me lo sarei mai aspettato! In questo momento non c’è un giorno in cui non vengo fermato per strada e vuol dire che la mia attività inizia ad essere riconosciuta. È interessante come tanta gente vede, conoce e riconosce.

Avete mai pensato ad un format di corso per la televisione? Sì, io l’ho anche già fatto, nel 2006. Il primo corso in tv (Leader di te stesso), autoprodotto, su Odeon Tv. A mezzanotte facevamo ascolti da 800mila persone. Ha avuto un successo notevole. Il problema della tv è che la tv ragiona solo in termini di audience. Adesso abbiamo qualche progetto interessante, anche se le tv non sperimentano più nulla. Oggi ha più senso un canale online che non una tv.

Una curiosità. Di tutte le cose che insegni c’è qualcosa che non riesci ad applicare a te stesso? Se non riesco ad applicarla a me stesso allora non la insegno. Tutto quello che insegno lo credo, l’ho sperimentato. Certo, superman non esiste, ma io cerco di applicare e praticare tutto ciò che insegno. L’esperienza sul campo mi permette anche di insegnare ottenendo maggiori risultati, perché ci credo fortemente. Io continuo ad essere il primo cliente di me stesso.

Quindi le persone che lavorano con te hanno frequentato i tuoi corsi? Sì, tutte. E non solo. Anche chi lavora in amministrazione frequenta e rifrequenta i corsi. Tutti devono ricordarsi quello che facciamo. Mi piace che chiunque entri nel mio ufficio respiri una certa aria. Quello che vendiamo funziona e quindi perché non sfruttarlo? Rientra tutto in un concetto di congruenza che per me è fondamentale.

Come vivi la popolarità e i social network? Bene, perché penso di essere uno che non si è mai montato la testa. Mi piace stare con la gente. Io rispondo personalmente sui miei profili social, credo sia molto importante. Io lavoro ogni giorno con le persone, sono avvicinabile e mi fermo volentieri a parlare con le persone. Anche i social quindi li vivo bene, anche se spesso si vede proprio l’infelicità proiettata sul prossimo, come nel caso degli haters. Ogni era ha i suoi pro e i suoi contro. Grazie ai social si può cmunicare con facilità con milioni di persone. Io sono molto attivo sui social.

Come si sviluppa una tua giornata tipo? Non ho una giornata tipo! Negli ultmi 5 anni ho vissuto a Dubai ed è completamente diversa dalla mia giornata qua in Italia. Da quando mi sono separato ho anche molto più tempo per me e negli ultimi anni ho girato davvero tanto. Quando sono in tour faccio una vita intensa, un po’ tipo rock star. Diciamo che è stancante, mi stanca ogni notte dormire in un letto diverso. Fatto nei limiti però è una cosa che mi piace: adrenalina che mi dà soddisfazione. Non sono uno che vuole ammazzarsi di lavoro. Penso che la mia vita meriti una qualità diversa. Adesso rientro in Italia perché mio figlio ha finito le scuole, ma io vorrei comunque mantenere la mia qualità di vita. A mio figlio dedico tempo di qualità. Adesso lui ha 18 anni e andrà a studiare a Londra, ma con lui ho davvero un rapporto speciale, ho applicato le cose che insegno. Penso davvero di essere stato un buon padre, sono contento.

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Lui seguirà la tua strada? Lui ha sempre respirato questo settore. Essere “figlio di” non è mai facile, soprattutto se il padre ha avuto successo. È giusto che lui faccia la sua vita e le sue esperienze. Non credo che abbia ancora trovato la sua passione. Adesso fa da assistente a corsi per ragazzi, vedremo come andrà.

C’è un aneddoto che ci vuoi raccontare? Magari quancosa di simpatico che ti è capitato all’inizio di carriera? Ce ne sono tantissimi. Me ne sono capitate di ogni. All’inizio, quando facevamo tutto gratis, c’era un vecchietto che veniva tutte le sere, anche se il corso era sempre lo stesso! L’imprevisto c’è sempre e si usa anche questo. Anche le occasioni peggiori sono importanti per cambiare e si possono utilizzare a nostro vantaggio.

Fonte foto: STAND OUT COMUNICAZIONE / HRD