Non immaginavo nulla di simile prima di aver messo piede in via De Castilla a Milano, zona Isola. Nella più storica e blasonata ciclofficina, la prima, vera e inimitabile della città. Si chiama +bc, ovvero più bici, ed è naturalmente autogestita da veri compagni che hanno fatto tutte le battaglie importanti, dal ’68 in su.

Oggi all’ingresso ti accoglie una sorta di decalogo, della serie “lasciate ogni speranza…”, ma almeno tutto è chiaro. Ieri invece nulla di nulla. Dovevi interagire con lo spirito della scienza infusa per venirne a capo.

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Entrando nella vasta area interna è tutto un pullulare di bici, ferri, brugole, mani operose, pezzi accatastati in bell’ordine, divisi per tipologia: i pignoni di qua, le forcelle di là. Nessuno ti dice niente e nessuno ha la faccia di essere il Meccanico o il Gestore. Boh? E come si fa? Già per me chiedere un’informazione è una violenza, figuriamoci con in più il rischio di chiedere alla persona sbagliata.

Decido quindi di “iniziare qualcosa” senza dir niente a nessuno. Una cosa che mi è sempre riuscita bene è quella di assumere il contegno di chi sa fare e di lì, in modo magico, farlo davvero. Così appendo la mia bici per la canna all’apposito trespolo e inizio a smanettare con fare sicuro smontando la ruota (sgonfia) davanti.

Perfetto! Era questo il segnale. Ora mi accorgo di essere meno trasparente. Ho assunto anch’io un’identità di ruolo: sono una tipa che deve sostituire la camera d’aria. Ora, su questo tema specifico, ho la facoltà di chiedere come si fa.

È stato un attimo. Nel giro di pochi minuti (oppure erano ore?) sapevo già tutto, più integrata di un buyer russo nel quadrilatero. Ed ero già approdata alla sfida suggerita da Yoda-Giò Pozzo: trovare la forcella adatta per sostituire la mia, irrecuperabilmente spanata nel suo filetto interno. Il sintomo di questa malattia mortale, per le forcelle, era un inquietante traballio di tutto il corpo anteriore ad ogni frenata.

Con la spiacevole sensazione che ti potesse rimanere in mano il manubrio, magari mentre si frena per dare il passo a un tram. Con questa spiegazione di ineluttabilità della “Ricerca della Forcella Perfetta” convinco il mio paziente compagno a lasciarmi giocare ancora un po’ in ciclofficina.

Naturalmente era quasi ora di pranzo. Naturalmente non avevamo ancora fatto la spesa. Naturalmente questo insieme di cose avrebbe fatto perdere le staffe a qualsiasi fidanzato, ma Alberto è un essere speciale, lo so, e quindi ho tutto il tempo di godermi l’emozione della Ricerca, come Parsifal del suo Santo Graal, come Proust del suo Tempo Perduto.

Non dimenticherò mai la sensazione stupenda che si prova davanti all’Albero delle Forcelle.

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Sì sembra proprio un albero, un palo dove sono infilate tante vecchie forcelle recuperate, organi donati con generosità da bici passate a miglior vita. Una di queste sarà mia!

Passato lo stordimento iniziale del pirata che ha scoperto il tesoro, mi rendo in breve conto che tra dimensioni, colori, stato ed estetica formale, ho una possibilità su cento di trovare quella giusta, ma non mi arrendo.

Prende invece sempre più corpo in me l’idea che la bici salvata dalla cantina avrà, di necessità virtù, uno stile Steam Punk. Ovvero verrà completamente sverniciata per far brillare la sua anima d’acciaio.

Forse la decisione è nata perchè la Forcella Perfetta si è rivelata essere quella bianca mentre la mia bici è tutta nera? Può darsi…

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Intanto però ecco un’altra vigorosa quanto metaforica pedalata nella giusta direzione. Sverniciatura e considerazioni di stile saranno per un prossimo sabato.

Intanto, dopo 3 ore di gioco del piccolo meccanico, un’ebbrezza che solo noi bambine degli anni Settanta abbiamo vissuto con le classi aperte negli asili (oggi le bambine sono ghettizzate tra bambole e pentoline, poveracce) ho finalmente per le mani e tra le gambe la Mia Prima Bicicletta dell’Età Adulta. E ora, hai voluto la bici? Pedala!