In un’epoca in cui l’informazione circola con una rapidità senza precedenti, è fondamentale riconoscere la linea sottile che separa le Relazioni Pubbliche (PR) dalla propaganda. Sebbene entrambe le discipline si avvalgano di tecniche comunicative volte a plasmare l’opinione pubblica, le loro radici etiche e metodologiche si diramano in direzioni opposte.

Le PR, sin dalla loro genesi, si sono sviluppate come un ponte tra un’entità e il suo pubblico. Ivy Lee, uno dei pionieri del settore, ha introdotto l’innovativo concetto di “dichiarazione aperta”, fondando la sua pratica sulla premessa che l’onestà e l’accessibilità sono la chiave per una reputazione durevole. Questo approccio ha posto le basi per una comunicazione bidirezionale, dove il dialogo e la comprensione reciproca diventano il fulcro di una relazione trasparente e benefica per entrambe le parti.

Contrastando questa visione, la propaganda si configura come uno strumento di persuasione che, nel corso della storia, è stato spesso utilizzato per indirizzare l’opinione pubblica verso specifici obiettivi politici o ideologici, utilizzando messaggi tendenziosi e a volte apertamente fuorvianti. Questo approccio è volto a produrre un cambiamento nel comportamento o nella percezione del pubblico, indipendentemente dalla veridicità o dalla completezza delle informazioni fornite.

Edward Bernays, discendente di Sigmund Freud e artefice di alcune delle più celebri campagne di PR del XX secolo, ha navigato in queste acque ambigue. La sua campagna “Torches of Freedom” del 1929 è un esempio classico di come le tecniche delle PR possano essere utilizzate per alterare la percezione pubblica, in questo caso incoraggiando le donne a fumare in pubblico, infrangendo così i tabù dell’epoca. Bernays ha impiegato la comprensione della psicologia di massa per forgiare un nuovo comportamento sociale, sollevando interrogativi sulla natura etica di tali pratiche.

La distinzione tra PR e propaganda diventa ancora più evidente quando si analizzano le loro relazioni con la verità. Le PR, per mantenere la loro integrità, devono fondarsi su una comunicazione autentica e bidirezionale, che non solo informa ma anche ascolta e risponde ai feedback. La propaganda, invece, punta alla convinzione unidirezionale, spesso a discapito dell’onestà e del confronto.

In un mondo in cui le notizie false possono diffondersi con la stessa facilità di quelle vere, il ruolo dei professionisti delle PR diventa cruciale. Devono non solo informare ma anche educare il pubblico a distinguere tra messaggi genuini e tentativi di manipolazione. Si tratta di una sfida che richiede non solo competenze comunicative, ma anche un’acuta consapevolezza etica e una profonda comprensione del tessuto sociale in cui operano.

In conclusione, mentre la propaganda può avere come scopo ultimo la manipolazione dell’opinione pubblica per raggiungere obiettivi a breve termine, le PR si propongono di costruire e mantenere relazioni basate sulla fiducia e sull’onestà. È questa fondamentale differenza etica che deve guidare i professionisti delle PR nel loro lavoro quotidiano, affinché la loro comunicazione possa essere distinta chiaramente da quella propagandistica, preservando così il valore della verità e della trasparenza nell’era dell’informazione.

Articolo di Francesca Caon, titolare di CAON Public Relations, agenzia di comunicazione e pubbliche relazioni a Milano