Domani arriva finalmente in sala Barbie, l’ultimo film di Greta Gerwig con protagonista Margot Robbie nei panni dell’iconica (e stereotipatamente perfetta) bambola Mattel. So che non siete più nella pelle, anche per me era così fino a poco fa. E vi dirò, senza fare spoiler, cosa aspettarvi!

Barbie: recensione dellultimo film di Greta Gerwig 

Visti Lady Bird (2017) e Piccole Donne (2019), di certo entrando in sala non ci si poteva aspettare un banale live action dei film animati con protagonista Barbie. Eppure il film riesce a sorprendere in mille modi diversi.

Non tanto per l’interpretazione di Margot Robbie: impeccabile. Soprattutto se si considera che la recitazione non è solo ripetere una serie di battute a memoria. È mimica, sono movenze. È far entrare lo spettatore non solo in empatia con il personaggio, ma all’interno della storia. E in questo, Robbie e Ryan Gosling (Ken) non hanno deluso le aspettative.

Barbie è un film emozionante, per diversi aspetti. I temi politici e sociali portati sullo schermo dalla Gerwig sono tanti e decisamente impegnativi. Eppure vengono affrontati con una tale leggerezza da togliere il fiato. È un film che porta a riflettere e, senza che neanche ce ne si renda conto, mentre si sta ridendo a crepapelle si sente una lacrima scendere sul proprio volto.

Qual è la storia della Barbie di Margot Robbie?

Sulla voce narrante di Ada Maria Serra Zanetti, doppiatrice di Helen Mirren (da cui ci dispiace indescrivibilmente non sentire il prologo a questo giro) ci addentriamo in un mondo completamente rosa. Tutti sono sempre sorridenti ed ogni giorno è perfetto. Fino alla rottura dell’idillio.

Avete mai pensato di morire? Una “semplice” frase che precede una serie di sfortunati eventi che portano Barbie a dover fare una scelta: i tacchi alti o un paio di Birkenstock Arizona?

I primi sfavillanti e rigorosamente rosa, le seconde antiestetiche e per di più marroni. Una donna comune probabilmente opterebbe per la comodità, ma quale sarà la scelta di Barbie?

Quella raccontata nel film della Gerwig non è semplicemente la storia della Barbie Stereotipo che si ritrova con i talloni per terra ed è così costretta ad andare nel Mondo Reale per ritrovare se stessa.

È la storia di Barbie. Degli ultimi sessantacinque anni. Di tutte le Barbie della Mattel. E di un filo sottile tra Barbie Land ed il Mondo Reale. Ed è anche un po’, per una volta, la storia di Ken.

Gli omaggi al grande cinema da Oscar all’interno di Barbie

La lista di lungometraggi ai quali la Gerwig si è ispirata per questo film è lunghissima (33 per l’esattezza) e sono diverse le reference da statuetta all’interno di Barbie – la stessa regista ha raccontato durante alcune interviste di essere grata a grandi registi di Hollywood, quali Francis Ford Coppola e Peter Weir, per averla supportata durante tutto il progetto. Ispirata in primis, dato consiglio in secondo luogo, per la realizzazione e resa di determinati aspetti scenici e tecnici sul set.

Ma l’omaggio davvero imponente è quello che apre il film: al cinema di Kubrick. In particolare alla scena di 2001 – odissea nello spazio (1968) in cui la scimmia inizia a colpire con l’osso i resti di altri animali. Così l’animale reagisce al cambiamento, appena inizia ad essere cosciente della sua transizione in uomo. Allo stesso modo, di fronte alla manifestazione di una Barbie reale e perfetta, delle bambine postmoderne iniziano a distruggere i propri bambolotti e a scagliarli verso il cielo.

Entrambe le immagini, impressionantemente simili per ambientazione e inquadrature, non sono altro che metafore dell’evoluzione umana. Ci sbattono in faccia che la violenza è forse l’unico mezzo con cui l’uomo, di fronte ad un rifiuto quasi esistenzialistico dato da un cambiamento radicale, sia in grado di reagire. Non dimentichiamoci che il lancio della bambola sul mercato nel ’58 ha scandito due ere – una pre e una post Barbie – permettendo poi alla Mattel di sbaragliare ogni concorrenza.

Ma il film è solo all’inizio e proseguendo, grazie alla Gerwig, cade (finalmente) un mito che regna da più di mezzo secolo.

Articolo di Gaia Simonetti