• Corse di questa settimana :2
  • Cani incrociati: 4/5 ma mi hanno ignorato
  • Cani che hanno attentato ai miei polpacci: 0
  • Biciclette sul marciapiede in mezzo ai piedi: 0
  • Scontri evitati: 0
  • Monopattini: 0
  • Scontri con altri runners: 0
  • Scontri con (New Entry) passeggini: 2000

Il primo paio di scarpe da corsa me le ha regalate papà. Avevo 16 anni e la sera mi piaceva andare con lui a correre. Una routine quotidiana che quando sono venuta a Milano ho perso. Abitavo sul lago di Garda e lì, in qualunque direzione andassi, trovavo sempre panorami mozzafiato, aria pulita e gente cordiale che ci salutava che fosse a piedi, in auto, in bicicletta o un altro runner.

Il running era la corsa.

La corsa era jogging, la parola running per la verità uscì anni dopo, molti anni dopo sotto l’influenza degli anglosassoni e delle aziende sportive che della corsa ne hanno fatto un business.

I primi a correre per strada venivano presi per matti, e i tapis roulant si usavano per punire i carcerati.

Insomma, correre non è più parte dell’allenamento per un altro sport: è uno sport.

Fino a qualche decennio fa, però, la corsa fine a se stessa era considerata una cosa strana: non si “andava a correre”, i parchi servivano solo per passeggiare e alla corsa erano attribuiti significati diversi e meno nobili. Poi, negli anni Sessanta, qualcuno si inventò il jogging. La parola jogging deriva dal verbo inglese to jog – andare avanti a balzi – e da qualche decennio significa, in breve, correre a passo lento o medio.

Per gran parte dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, nelle prigioni si potevano trovare dei mulini azionati dal movimento di persone, che venivano usati per far sì che i carcerati producessero energia attraverso la corsa. Erano una forma di punizione e una delle attività che toccava fare a chi era stato condannato ai lavori forzati.

La facilità della corsa, praticabile a qualsiasi età, è unita anche a un fattore economico di non poco conto. Poter praticare uno sport ovunque e senza spendere molti soldi, fa sì che la corsa si diffonda in tutti gli strati sociali. La pubblicità della Nike con lo slogan “Just do It” contribuisce a rendere questo nuovo sport nel corso dei decenni successivi una cosa non solo buona, ma anche giusta.

Ma cosa distingue il running dallo jogging? La frequenza dell’attività. 

La pubblicità sui cartelloni e in televisione rilancia il fenomeno e alla massa si uniscono personaggi famosi come manager, star, presidenti. Tutti iniziano a correre

Just do it! Indica determinazione, impegno, l’ideale americano del lavorare sodo trasposto nello sport e nell’attenzione per la propria forma fisica. Chi corre saltuariamente fa jogging. Chi si allena quotidianamente in vista di una gara fissando degli obiettivi da raggiungere, è un runner.

Correre mette le persone davanti ai propri limiti e trovare il modo per superarli. Chiunque pratichi questa attività sa benissimo che alla domanda Perché corri? la risposta non è “Per dimagrire”, ma “Per stare meglio”.

Le scarpe di oggi non sono come quelle di allora che oltre ad avere una suola piatta e poco armotizzata aveva abbinamenti di colore terribili. Ma quelle erano scarpe da corsa e non sneakers da poter usare anche nella vita di tutti i giorni, figuriamoci.  Ricordo ancora oggi quando mi rimbalzarono all’ingresso di una discoteca perché sotto all’abito lungo nero indossavo un paio di Superga (argento). Sacrilegio, fui lo scandalo di amici e famiglia. Ah, la discoteca era a Londra. Figuriamoci se fosse capitato in Italia.

Oggi comprare un paio di scarpe da running è come entrare in un negozio di caramelle. Le vorresti tutti, ma ne puoi comprare solo poche e non è detto che quelle che ti piacciono ti facciano stare bene.

Sa quel primo paio di scarpe ne ho comprate altre, almeno un centinaio. Ma appena perdevano di forza le regalavo. Quelle no. Quelle le ho conservate. Nonostante l’abbinamento orribile e nonostante la suola sia ormai quasi marmo.

Mi riportano alla mente tutte le corse e le chiacchierate con papà e provo ancora oggi le stesse emozioni.

Oggi come allora quando incontro un altro runner lo saluto. Non sempre ricevo un saluto in cambio, né un sorriso, né uno sguardo.

Ci sono persone che appena ti vedono abbassano lo sguardo o fanno finta di non vederti. Perché poi, non lo so.

C’è niente di più bello che incrociare il sorriso di un altro runner?

Soprattutto in uno di quei giorni in cui sei impegnato nei cosiddetti “lunghi” pre-maratona. Nelle giornate NO, sotto la pioggia, all’alba o la sera dopo il lavoro.

Incontrare qualcuno che è così pazzo come te, che ti riconosce da uno sguardo anche se furtivo.

Gentlemen’s agreement dicono gli amici UK. Salutarsi, dovrebbe essere naturale ma non è così scontato.

Anzi non conto il numero delle volte che i miei sorrisi e i miei saluti non hanno risposta.

All’inizio ci rimanevo male, ora onestamente, non mi importa, alla fine i veri amici o le persone di spessore si vedono sul lungo.

E per me il lungo significa una sola cosa: MARATONA.