L’autunno è il periodo in cui calano le prestazioni, si sa, e quindi bisogna stare un po’ più attenti. È la fatidica “fine stagione” e il fatto che apparentemente ci siano forze intatte da quell’apice della forma fisica che io, ad esempio, raggiungo in pieno agosto, può creare pericolose illusioni e impedire che ci si trattenga dalle più estreme spacconaggini.

Perché dico tutto ciò? Naturalmente la quintessenza della saggezza non è il mio forte e, come Alice nel Paese delle Meraviglie, spesso sono molto brava a darmi buoni consigli, ma, con la superficialità dell’imparaticcio dell’ultima ora, spesso dimentico di osservarli e arrivo all’esamino impreparata.
Così ho proprio bisogno di dare una sana (si spera) capocciata al muro (non di Sormano) per imparare qualcosa.

Domenica scorsa era finalmente bel tempo e scommetto che la maggior parte di chi mi legge sarà stato tra le migliaia di ciclisti che hanno invaso le strade di Lombardia e non solo dopo la lunga astinenza da pioggia.
Già all’incontro con i Makaki in Villa Reale a Monza, alle 8.30, ci saranno stati tra gruppi e gruppetti almeno un centinaio di ciclisti. Insomma era chiaro che le strade sarebbero state nostre, con buona pace degli automobilisti della domenica che invece di andare a Messa si ostinano insensatamente ad occupare i nostri itinerari preferiti. Chissà che avranno da fare… proprio la domenica. Ma statevene a casa!

Sembra la partenza di una Gran Fondo, ma è solo l’ingresso di Villa Reale a Monza, topico punto d’incontro per i ciclisti della domenica

Insomma l’adrenalina c’era tutta. E quando si è tanti e ci si riconosce al fiuto è impossibile pedalare piano. Così il gruppo “Tram”, ovvero i Makaki veloci, ci avevano appena seminato anche se la nostra media non era da poco, oltrepassando in scioltezza i 30 km/h. Ma come si fa a frenarsi? Dopo giorni di rulli appena-appena ravvivati da un giretto a Watopia di Zwift o dallo studio di nuovi numeri e nuove prestazioni? È vero infatti che per molti è una routine, ma io in questi ultimi giorni ero finalmente riuscita a usare i rulli con la Sempre Pro dove ho tutti i sensori attaccati e quindi è stato un vero spasso girare nella ruota del criceto. Al punto che per due volte consecutive ho macinato senza noia ben 50 km di giro virtuale, che pare sia obiettivo più ostico del recitare per due ore di fila il famoso “Nam-myoho-renge-kyo”.

Così, illuminata dalla dalla Legge fondamentale che sottende il funzionamento dell’intero universo e della nostra stessa esistenza, ovvero dopo le mistiche esperienze sui rulli, potevo essere diventata più saggia? No di certo. Eccomi invece a ignorare la “fine stagione”, a far finta di nulla. Lo sport è uno sfogo e quindi anche se la settimana precedente avevo dormito 5 ore per notte o giù di lì, rigirandomi spesso nel letto in preda ad ansie più o meno motivate, ero convinta che con una bella e sana frullata in Brianza avrei resettato tutto, ripartendo come nuova il lunedì post ponte Ognissanti.

Infatti le gambe giravano che era un piacere. L’acido lattico faceva piccole e rapide incursioni, ma nulla di grave. Anzi… bello alternare l’agilità al rapportone, così da sentire il muscolo sciogliersi e irrigidirsi, usando gli strappetti brianzoli come una naturale palestra d’allenamento. E il gruppo di Makaki del “Vaporetto”, quello meno rapido, si muoveva con me all’unisono. Un ritmo giusto, appena un po’ veloce rispetto agli intendimenti iniziali, ma non certo esagerato come il “Tram” che anche quando si riposa va a 40 km/h. Massì, oggi si fa un giretto tranquillo, dicono.

Noi però decidiamo per tre salite “easy”. O meglio sarebbe da dire “easy” due su tre. Sì perché la terza, ahi ahi… sarebbe stata la salita per Montevecchia. Una rampa rapidissima che mai avevo sperimentato prima e che in alcuni punti avrebbe raggiunto il 20% di pendenza. Poco male, una “veterana” come me… che ha fatto il Muro di Sormano… e che sarà mai?
Così, baldanzosa e festante, dopo la salita a Sirtori fatta fischiettando e la seconda che da Santa Maria Hoè ci ha portati a Colle Brianza, eccomi pronta per affrontare, a muscoli belli caldi, la mia prima ascesa a Montevecchia.

Montevecchia è il “mio feudo”. Lassù, su quella vetta devota che ospita la chiesona in cima alla scalinata, che chi fa voto percorre in ginocchio, nacque infatti la mia nonna Agnese. Di cognome Maggioni. Un vero classico da quelle parti: si chiamano tutti così.
Non potevo quindi che essere doppiamente ringalluzzita per l’impresa che avrei affrontato proprio a “casa mia”. Un luogo che nell’adolescenza o giù di lì inserivo tra le mete obbligate delle gite fuori porta con il fidanzatino di turno. A Montevecchia a far scorpacciate di formaggini, salumi e grappette aromatizzate al rosmarino. Proprio quello coltivato sulla cima del naturale balcone con vista su Milano che è Montevecchia. Baciato dal sole e dalle nebbie.

Il nuovo skyline di Milano visto dalla balconata naturale di Montevecchia

Superata la prima rampa che non passa il 14% di pendenza ero quindi alle prese con la seconda, ben più tosta. Quella del 20% per intenderci. E tra una pedalata e l’altra un po’ pensavo al mio albero genealogico e un po’ ai bellissimi ricordi legati a Montevecchia. Daniela, nel nostro gruppo, era già sfrecciata avanti con il rapportone (ha usato il 26 solo nel pezzo più tosto!), ma non avevo la minima intenzione di raggiungerla… lo giuro! Eppure cosa è successo? Sto tirando il fiato dopo aver superato brillantemente il 20% e lo sento giusto un po’ più corto del solito. Mah… proviamo a respirare più a fondo. Ok, va meglio. Improvvisamente mi cade l’occhio sul Garmin. Tutto ok… 8 km/h… 9% di salita, sta spianando… 225 bpm… tutto ok… Come? 225 bpm ho detto? Non credo ai miei occhi! Il cuore sta andando a 225 battiti al minuto. Cioè in ogni secondo che passa il mio cuore pulsa per 3,75 volte! Ma è possibile? È umano? Rimango stranamente molto calma e rallento senza fermarmi. L’istinto mi dice di non farlo e mi rafforza nell’idea anche Milly che nel frattempo mi raggiunge e conferma che è meglio solo rallentare. Non fermarsi. Lei se ne intende più di me, seguiamo il consiglio. Così mi porto al passo di lumaca. Quel tanto che basta per avanzare e rimanere in piedi. E un po’ il cuore scende, ma non troppo.

Santuario della Beata Vergine del Carmelo, Parrocchia di Montevecchia

Effettivamente la sensazione è quella di averlo in gola, eppure non percepisco i battiti. È allora che vengono i pensieri più assurdi. Forse sono morta e sto sognando di essere viva? Oppure sono viva, ma se non razionalizzo presto sarò morta? Immersa tra questi ameni pensieri e con l’occhio puntato ai valori del bpm leggermente scesi a 217, scorgo in lontananza… il cimitero! Ma non è un’oscura visione in pieno stile Halloween perché il buon Stefano è lì rassicurante ed angelico ad aspettarmi. Bene. Allora vuol dire che non ci ho ancora lasciato le penne. Se mi aspettano è perché esisto. Sono ancora qui e lotto in mezzo a voi. Così di colpo, e altrettanto velocemente come era arrivato, il battito furioso si normalizza. Puf… magia! Siamo a 150 bpm. E durante il ritorno tutto è poi filato liscio.

Franco Bitossi, soprannominato Cuore Matto per alcuni attacchi di tachicardia. Cardiopalmo che però non gli ha impedito di vincere numerose tappe del Giro

Insomma che cosa sarà successo? Perché il cuore si è impennato come il Garelli di un tamarro? La dottoressa dice che è lo stress. E per la settimana che avevo passato ci sta tutto. Ma qualche controllino comunque lo sto facendo, non si sa mai. Perché un cuore matto in bicicletta non può essere una bella canzone.

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