Una volta un’amica mi disse che i romani sono così (apparentemente) cinici, a volte crudelmente ironici e distaccati perché le anno viste tutte: imperi nascere e morire, ondate di invasioni, i geni più puri dell’arte e le peggiori ombre dell’uomo e del potere. Incassano, metabolizzano e alla fine, come la loro città, restano lì a dispensare commenti sul mondo che ti lasciano secco, sospeso fra il ridere e il piangere, e alla fine ridi con loro.

Lavinia Parlamenti è una fotografa romana (profilo Instagram), leggerete che le abbiamo anche chiesto cosa significa questo per lei, e ha la capacità di mettere intere biografie in ogni sua fotografia, di far immaginare un prima e un dopo di quel frammento di mondo, di trasformare ogni oggetto in personaggio e ogni personaggio in persona, di regalare un’anima a tutto, anche l’elemento più sgraziato e per qualcuno inutile.

Il suo obiettivo è spietato nel cogliere deformità e anomalie, paradossi e contraddizioni che il mondo genera a ripetizione e che Lavinia ruba al tempo e ci restituisce facendoci (anche) ridere. Allo stesso tempo ogni singolo elemento si ri-scatta e acquista senso e dignità nella foto, anche una cancellata storta e arrugginita.

Un suo bellissimo progetto fotografico è in mostra fino a domenica 5 novembre a Vicenza nell’ambito della mostra collettiva FuoriCentro, curata da Pietro Vertamy e ideata da Centro di cultura fotografica e Unione Collector, dedicata all’analisi fotografica della periferia industriale di Vicenza Ovest, insieme ai fotografi Rocco Rorandelli e Andrea e Magda. Se siete da quelle parti non perdetela.

Che cos’è l’ironia in fotografia ? La stessa cosa che è nella vita. È una modalità di percezione innata e fortunata che lo spirito utilizza come sorta di antidoto alla visione pesante delle cose del mondo che spesso lo sono malgrado noi.  Attraverso un approccio di questo tipo sono libera di osservare con leggerezza i drammi umani, da quelli più piccoli, come una persona che inciampa, a quelli universali che derivano dalla natura complessa e imperfetta dell’essere umano e di tutto il resto. Mi diverte osservare le varie sfaccettature nell’ironia delle persone che incontro perché nessuno è ironico e basta ma, di solito, mescola a questa attitudine altre caratteristiche e sfumature della propria personalità. Per esempio l’ironia fotografica dei primi due autori famosi che mi vengono in mente e che in tanti conoscono, Elliott Erwitt e Martin Parr, è completamente diversa: il primo è dolce e il secondo è pungente. Questo è chiarissimo nelle loro fotografie e probabilmente (mi auguro) corrispondente alle diverse personalità dei due in quanto esseri umani, prima che autori.  Uno dei miei fotografi preferiti di oggi, che è un giovane greco che si chiama Charalampos Kydonakis, incastra delle note ironiche in un contesto che è praticamente horror. Divide il proprio lavoro in piccoli capitoli all’inizio dei quali riporta una citazione famosa. Una è di Marcel Duchamp e dice: “il n’y a pas de solution, parce qu’il n’y a pas de problème” (non c’è alcuna soluzione, perché non c’è alcun problema). È un’idea placida e catastrofica allo stesso tempo nella quale mi ritrovo parecchio.

Quando guardi nell’obiettivo, c’è differenza fra un corpo umano e un oggetto nella relazione con lo spazio e nel tuo modo di vedere? Sì e no. Sì perché una persona o un animale si muovono e quindi oltre alla forma all’inquadratura e alla luce devo inevitabilmente controllare anche quello, il che può regalarmi enormi soddisfazioni, oppure rendere la foto completamente inutile. No perché posso dire che in molti casi effettivamente guardo agli oggetti come se fossero esseri umani. Molto spesso mi interessano cose inanimate che sembrano parlarmi, come se fossero vive. A casa mia del resto un sacco di utensili hanno un nome proprio di persona…

Come scegli i lavori che fai? Mi interessano tante cose e per motivi diversi, per questo per ora ho deciso di lavorare più sull’approccio che sull’argomento. Sicuramente mi interessano i paradossi e perciò la mia attitudine rimane la stessa qualunque sia il soggetto che rappresento. Trovo interessante svelare un pezzetto dell’assurdità e del nonsenso complessivo che è per me ha la realtà. Per come la vedo io e per come cerco di trasferirla in questa modalità non c’è niente di derisorio, perché io stessa mi sento parte del mucchio di situazioni e personaggi un po’ fuori posto che scelgo di rappresentare. E gli voglio bene. Sono fortunata perché alla fine di un lavoro ci vedo sempre dentro quello volevo dire. Sembra banale ma non è facile, anzi è proprio difficile, perché la fotografia è una lingua abbastanza alla portata di tutti e semplice da imparare ma difficilissima da comporre. Intendo il discorso complessivo, non la singola immagine. Lavorare come fotografo è molto diverso dal fare le fotografie. Sappiamo tutti usare una penna per scrivere la lista della spesa, ma scrivere un romanzo è differente. E’ facilissimo vedere dei progetti con delle foto anche composte bene che però in realtà non stanno dicendo niente o poco, ancor peggio che mi annoiano perché raccontano qualcosa di interessante in modo banale. Cerco veramente più che posso di evitare questo, a prescindere dal tema.

Nelle foto quanto entra del tuo umore del momento e quanto dell’atmosfera che ti circonda quando scatti? Molto. In fondo alcuni ancora ci chiamano fotoreporter, è una definizione che mi fa sorridere perché si riferisce al concetto di riportare la realtà e la verità. Invece siamo in un’epoca che sta imparando a non credere più alla verità assoluta, pertanto l’unica realtà che avverto di essere in grado di riportare è la mia, tra quello che vedo, quello che vivo e quello che immagino. Decodifico le situazioni che mi colpiscono partendo da chi sono e dalla relazione che vivo col soggetto che fotografo. Il lavoro di fotografo come autore è molto introspettivo, perché porta a chiedersi in continuazione cosa si vuole dire e come lo si può dire con gli elementi che uno ha a disposizione (apparecchi, luci naturali e artificiali, sequenze, post-produzione, dimensioni delle stampe, elementi non fotografici) e questo automaticamente significa chiedersi ripetutamente chi sei e chi stai diventando in rapporto a quello che stai vedendo e raccontando. E’ tanto faticoso quanto entusiasmante, a me certe volte spaventa anche un po’ perché questo processo di pensiero, azione e relazione concentrata mi mette inevitabilmente spesso di fronte a argomenti profondi e complicati.

Vivi a Roma, c’entra qualcosa con il tuo stile? Quanto la tua città ti ha influenzato e come, sempre che lo abbia fatto? La città poetica e maledetta dove sono nata e cresciuta mi ha influenzata almeno quanto la mia strampalata famiglia di origine. Difficile per me non amare entrambe moltissimo, senza dubbio una parte del mio spirito di sopravvivenza viene dalla mia esperienza con loro e questa è una cosa di cui sono molto contenta perché sia Roma che la mia famiglia hanno una storia e un’attitudine tutt’altro che banali. Per certi aspetti si somigliano pure. Sono entrambe realtà eccezionali, appassionate e complicate, a mio parere entrambe sono prive di alcun senso logico e soluzione e quindi alla fine della fiera sostanzialmente dolci-amare e ridicole. Non le cambi, puoi solo osservarle da fuori, prenderne il meglio e scherzare sul resto. Mi vengono in mente i film di Luigi Magni e tutto quello che fa Corrado Guzzanti. Eppure Roma ha un carattere troppo forte dal quale non mi piace lasciarmi modellare; è troppo splendida, furba e rude e io non amo essere come lei. Per questo appena posso me ne allontano. Quando avevo vent’anni ho trovato una residenza adottiva che è la città di Marsiglia, dove mi rifugio spesso per coltivare una diversità spontanea che è fatta dell’essere tutti stranieri, senza legami particolari, senza seguire le mode, senza categorie, andando dritti al punto per farsi capire e credendo più a quello che dice il Maestrale che a ciò che si sente in giro (o su internet). Negli ultimi 15 anni Marsiglia mi ha insegnato quasi tutto quello che so su di me. Mi chiedono sempre se ho mai fotografato quella città, ovviamente sì, ma quella è la mia autobiografia, si compila da grandi no?

Cipro, perché? La risposta migliore a questa domanda è guardare la posizione di Cipro sulla cartina politica del mondo, leggere brevemente la storia dell’isola e poi di nuovo le risposte a questa intervista.