Mi ci avrà voluto tempo per accettare e digerire, o addirittura abbracciare il concetto. Ho preso tempo, lo riconosco. Sono sparita, o meglio, mi sono eclissata, un po’ chiusa a riccio a metà strada, rifiutando quasi le parole, che, come spesso accade arrivavano da sole.

Me lo dice da (quasi) sempre, Tania Mazzoleni, Style & Happiness Life Coach: le parole: è anche tramite loro che dovrei emergere, farle mie. Eppure anche qui, ci ho messo tempo. Come se non mi appartenessero, come se, anche in questo caso, non fossi totalmente all’altezza.

Dico spesso che dovrei avere una tastiera collegata al cervello perché i racconti migliori, le parole, quelle che mi rappresentano, gli articoli stessi, a volte, mi “arrivano” sempre all’improvviso. In mezzo alla gente, in doccia, al supermercato. Mi entrano in testa e tutto diventa limpido mentre vivo la frustrazione di non poterle mettere per iscritto nell’immediato, prima che mi sfuggano.

Oggi, invece, ci proverò. Anche quello, fa parte del percorso.

Dolore & Piacere: perché?

Un giorno, anni fa, mi sono imbattuta in un episodio di Sex & The City che aveva un titolo simile. Lo ricordo bene perché allora, mi era sembrato strano. Mi era sembrato addirittura provocatorio, insomma, mi aveva colpito. Collegare il dolore e il piacere? Che strana idea. Molto francamente, al di là del parto, forse, a me allora sembrava un’idea inconcepibile.

Oggi invece, grazie al percorso con Tania Mazzoleni, mi sono resa conto quanto questa associazione guidi da sempre la mia vita, che sia emotiva, sentimentale, professionale. Tania è riuscita a metetre le parole sull’unica cosa che non riuscivo a descrivere. Al mio entourage dico spesso “mi sento tiragliata”. Tra una miriade di sentimenti contrastanti.

Tutti questi però, potrebbero essere sintetizzati in:

Meglio la fatica o la frustrazione? Meglio il rischio o il rimpianto?

Meglio evitare la fatica per paura del conflitto, oppure rimpiangere quello che sarebbe potuto essere?

 

Si dice che in ogni percorso ci sia un momento di rifiuto, di rinuncia. Un momento in cui, forse, verrebbe da tornarsene indietro, verso una comfort zone che, dopotutto, non ci sembra più poi così male.

Un momento di smarrimento, più o meno lungo, necessario in qualche modo a “fare il punto”.

La comfort zone fa male?

Sono passate ormai qualche settimana, forse qualche mese dall’ultimo capitolo del mio diario di bordo riguardo al mio percorso con Tania Mazzoleni. E, lo ammetto, forse nascondendomi dietro le tante (davvero tante però) cose da fare legate a trasloco e fine dell’anno scolastico.

La verità, è anche questa. Mi sono resa conto che forse, molti dei miei malesseri arrivavano proprio da lì. Dall’essere sempre in bilico, tra dolore e piacere, appunto.

Sono il tipo di persone che per quanto può, evita alla grande il conflitto. Andando contro me stessa, spesso, e facendomi “andare bene” qualsiasi cosa. “Mah sì, va bene“.

Ora che ci penso, pure mio marito, che ha un discreto talento per le imitazioni, quando imita me, oltra all’accento francese usa quest’espressione con un’esagerata enfasi: “sì, va bene!“. Perché qualunque cosa mi verrà chiesta, io risponderò “sì, va bene”. Anche se non andrebbe bene proprio per niente.

E questo mio rifiuto del “conflitto”, fosse anche il più banale, il più piccolo, il più insignificante, determina la mia vita in moltissimi aspetti.

Il rifiuto del conflitto: perché andrebbe superato

Dal caffè che bevo corto, anche se lo avevo chiesto lungo, dal lavoro extra che accetto anche se so che sconvolgerà le mie scadenze già fissate, all’appuntamento al quale accetto di andare sapendo che mi stravolgerà il planning e farà fare le corse…

Io non sono in bilico, io decido, o quanto meno ho deciso finora, di rimanere in bilico, per paura di saltare.

Eppure è buffo, perché una delle citazioni che ripeto spesso alle amiche nei momento del bisogno è “il problema non è la caduta, ma l’aterraggio” (cit.)

Lentamente ma inesorabilmente, Tania Mazzoleni mi ha portato a capire da sola, quanto quello che definivo la mia “confort zone” fosse in realtà la mia trappola. Quanto per paura di “cosa potrebbero dire gli altri”, io mettevo a tacere me stessa.

Rifiutandomi nuove opportunità, evitandomi di saltare in nuovi progetti, mettendo sotto silenzio ciò che pensavo veramente, e… ammettiamolo, modificando anche il mio modo di pormi e vestirmi pur di rientrare in certi canoni “standard” anche se questo mi avrebbe gettata in una specie di banalità blanda e insipida.

Al momento in cui scrivo, e, va detto, i vari capitoli di questo percorso finiscono in modo totalmente diverso da come avevo li avevo immaginati, mi rendo assolutamente conto del perché tutto questo fosse necessario. Prendo finalmente coscienza di cosa intendeva Tania parlando del momento del rifiuto, dell’importanza di andare oltre, scalare la montagna per poi proseguire in discesa.

Ci ho messo tempo, forse, ma tutto, davvero, diventa più limpido.

E sono felice, più che mai, di avere intrappreso questo percorso.