Francesco Pizzuti_CEO UCW

Come è nata la vostra strategia? Quali sono i suoi punti di forza? L’idea era pronta già da tempo, ma come spesso accade non sempre si riesce a fare tutto nel momento in cui lo si pensa. Il management della Unique ha un passato importante nel mondo dell’abbigliamento, quindi il nostro non è stato proprio un salto nel vuoto. Noi crediamo fortemente che nel mondo dell’adulto ci siano opportunità maggiori. Per 4 stagioni abbiamo gestito la licenza dell’abbigliamento donna firmata Stella Jean; conoscevamo già il mondo bimba e il brand ci ha chiesto di aiutarli con il mondo donna e noi ci siamo buttati in questo progetto, non tanto per una questione di fatturato, perché si sa che Stella Jean è un mercato di nicchia, ma perché volevamo far emergere la capacità dell’azienda di operare anche nel settore abbigliamento adulto. E così è stato. L’azienda ha reagito molto bene sia dal punto di vista della qualità, sia da quello del timing e di molto altro, portando alla luce la sua capacità di switchare dal bambino all’adulto con velocità e qualità. Il lockdown è stato un facilitatore di questo cambiamento, perché quando ne siamo usciti, l’azienda aveva performato molto bene dal punto di vista dei campionari e della produzione invernale, quindi avevamo pronte tutte le new collection ed eravamo anche stati capaci di gestire al meglio i rapporti con i clienti, consentendo anche piccoli sconti. L’azienda è uscita bene dal lockdown, ma abbiamo anche maturato che il mondo del bambino è molto fragile, a causa dei grossi big del fast fashion; ci siamo resi conto che le persone spendono meno per i capi di abbigliamento quotidiano dei bambini.

Cosa cambia, dal punto di vista aziendale, tra una linea bimbo e una linea per adulti? Da un punto di vista di business e di impostazione industriale, fare abbigliamento bambino è molto più complicato, perché coprire la fascia 0-16 è complesso: ci sono capi, come le tutine da neonato, che sono difficili da realizzare e sdifettare e fare in modo che siano indossabili dai più piccoli; poi ci sono le taglie junior che sono quasi come quelle di un adulto. La varietà di taglie rende difficile il lavoro. Poi c’è anche un discorso di costo, perché chi si occupa di bambino ha una forte attenzione al prezzo, poiché dai capi di abbigliamento bambino ci si aspetta sempre che siano più economici rispetto a quelli per adulti. Ci sono poi normative da seguire, perché con i capi dei bambini ci sono da fare test molto cari e molto attenti da realizzare prima della distribuzione. Con i capi per adulti ci sono invece meno taglie e c’è molta meno complessità per quanto riguarda lo sviluppo del prodotto; la complessità aziendale sta nel fatto che, mentre il bambino vive un po’ di luce riflessa dei brand da adulto (per marketing e prodotto), per i prodotti uomo e donna non c’è nessuno che traina e quindi dovremo inserire in azienda figure nuove che andranno a lavorare su stile e marketing. Questo non vuol dire che il mondo dell’adulto sia semplice, perché significherebbe banalizzare qualcosa che banale certo non è, però nel momento in cui si riesce a sviluppare un progetto di successo, sono meno i limiti.

Per quanto riguarda il modello di business, ci puoi dire come è strutturato e qual è la vostra idea? La volontà è quella di passare da un’azienda che lavora solo sul kidswear e progetti su licenza, a un’azienda che fa anche bambino, ma che da qui in avanti approccerà a progetti prevalentemente riguardanti il mondo dell’adulto e se possibile non lavoreremo più solo su licenza e quindi sui marchi di altri, bensì tratteremo capi di cui avere la co-proprietà, se non la proprietà totale. L’obiettivo è quello di dare valore aziendale, cosa che sicuramente significa fare sacrifici all’inizio, ma che sono convinto porterà più soddisfazione in futuro.

Che anno sarà per voi il 2021? Sarà un anno di grande transizione. Stiamo cambiando passando da progetti consolidati nel mondo bambino con start-up, che sebbene siano qualcosa di concreto, sicuramente sono start-up con tutte le incognite del caso. Crediamo comunque di chiudere l’anno in linea con il 2020, che per noi consiste nel -20% rispetto al 2019.

Questo solo in Italia o nel mondo? Con tutti i nostri brand noi operiamo a livello internazionale, quindi i dati sono relativi a tutto. In percentuale, l’estero conta tra il 55% e il 57% mediamente. L’estero in questo momento è la parte che ci crea più difficoltà, perché a causa della pandemia non ci è stato fisicamente possibile andare in loco a chiudere accordi con distributori e agenti.

Che valore ha per voi l’accordo con Nolita? Perché avete scelto questo brand che inevitabilmente tutti ricordano perché legato alla polemica riguardante la modella anoressica? Come state cercando di agire su questa cosa? Io non la vedo come una cosa negativa quella della campagna; trovo che in questo caso la genialità di Toscani si sia manifestata al massimo. Anche prima del caso legato alla modella anoressica Nolita ha sempre avuto un modo molto irriverente di comunicare e un’idea ben precisa da veicolare e trovo che oggi, per un brand con un know how di questo tipo, sia una cosa fondamentale. Riguardo il marchio posso dire che il nostro avvicinamento è stato un po’ casuale, perché siamo venuti a sapere che il brand era stato un po’ “parcheggiato” presso un nostro contatto e parlando in maniera informale abbiamo percepito che ci poteva essere l’opportunità di un rilancio. Noi siamo a conoscenza del fatto che rilanciare i marchi spesso sia più difficile di lanciare marchi nuovi, perché non è detto che il successo sia garantito, però Nolita, mantenendo il dna irriverente e fortemente creativo che ha consolidato nel tempo, crediamo che possa avere un grande futuro. Per noi può essere un’occasione incredibile, perché se il progetto prenderà la strada che pensiamo, questo potrebbe davvero cambiare l’assetto della nostra azienda, che andrà così a coronare la strategia di sviluppare in maniera sempre più massiccia marchi di proprietà e che ci darebbero modo addirittura di essere noi a dare licenza di vendita ad altri player.

Che ruolo avrà l’e-commerce? Sicuramente avrà un ruolo importante l’e-commerce. Anche se adesso sono molti che stanno facendo il processo inverso, ovvero aprendo negozi dopo essere nati e aver vissuto solo nel mondo digitale. I capi devono essere indossati, visti, provati e toccati con mano, per questo sì l’e-commerce è importante e deve essere sviluppato, però la parte fisica avrà sempre la sua importanza. Io credo che il futuro sarà fatto da un mix intelligente e ben dosato di questi 2 canali. Noi stiamo lanciando la Fall-Winter 2021, ma ci sarà una piccola Capsule Collection di Spring-Summer e l’e-commerce viaggerà parallelamente alla Capsule.

Di solito è sempre un punto critico, per chi distribuisce, avere l’e-commerce interno. Come organizzerete questa cosa per accontentare tutti? Noi percepiamo oggi un sentimento di negatività tra i commercianti e le case madri del mondo della moda, perché sono molti i commercianti che si sentono schiacciati dal peso dell’e-commerce. Noi come Nolita vorremmo studiare una formula che non penalizzi nessuno e che dia un vero senso alla parola Partnership, trovando un meccanismo per cui, anche vendendo online, si riesca a coinvolgere il negoziante che si sentirà così parte dello stesso progetto. Al momento l’idea è ancora agli albori, però vorremmo ricontestualizzare e rilanciare una Nolita che sia moderna non solo a parole ma anche nella distribuzione e nella comunicazione.

Avete in mente altri brand da prendere in licenza? Al momento no. Siamo in fase di definizione con un altro progetto di start-up inglese molto interessante sia per quanto riguarda l’originalità dei prodotti, sia per quanto riguarda il meccanismo  con cui vengono venduti: molto digitale con dei drop scadenzati e che crea interesse per i prodotti prima della consegna degli stessi. Ora come ora, più che rincorrere fatturati, stiamo rincorrendo idee. Penso che ci siano molti giovani con buone idee e che magari non hanno alle spalle una struttura aziendale per fare il salto di qualità ed è lì che crediamo che una partnership potrebbe avere senso.

Quindi vi dedicherete anche alla scoperta di nuovi talenti? Ci piacerebbe.


Fonte foto: Unique Concept Wear press office