Occhi azzurri e un sorriso che ammalia, Fashion Times ha incontrato ed intervistato Adriano Giannini, co-protagonista del corto The Legend of Red Hand.

Un giallo ricco di suspense e mistero in cui Mia Parc, la protagonista interpretata dall’intrigante Zoe Saldana, parte da Milano, città d’origine di Campari, per un viaggio alla ricerca del cocktail perfetto.

Com’è stato partecipare al corto The Legend of Red Hand?
“Anche un onore, da un certo punto di vista, prima di tutto perché la qualità del progetto era talmente alta, sia nel corto dello scorso anno, sia quest’anno, e poi per Stefano Sollima, Zoe Saldana, con il direttore della fotografia che era un premio oscar, poi io venendo dal mondo della fotografia sono particolarmente sensibile a questo tema. Quindi la qualità della produzione in sé è stata altissima, fare parte di un cortometraggio, che diventa una piccola storia, che andrà in giro per il mondo, costruito da noi italiani, mi rende molto orgoglioso averne fatto parte.”

Com’è stato quindi lavorare con Stefano Sollima e Zoe Saldana?
“In realtà con Stefano ci siamo conosciuti quando io facevo l’operatore, era un film del 1990, avevo 19 anni e lui faceva il backstage del film. Ci siamo conosciuti in quella occasione, ci siamo incrociati nel corso degli anni, ma non avevamo mai lavorato insieme. Con Stefano comunque è molto facile lavorarci insieme, perché da subito percepisci la sua attenzione e il suo conoscere la materia filmica, nella costruzione della scena e nella messa in scena, e capisci subito che ti ci puoi affidare. E con Stefano io mi sono subito totalmente affidato, anche perché lui ha un carattere gioiso e avventuriero nel girare, che a me piace, anche perchè, quando io facevo l’operatore, sento come mia quella spinta avventuriera nel fare i progetti. Con Zoe ci siamo conosciuti il giorno prima di girare, è un’attrice generosa, super professionista, come tanti attori americani, è stato un piacere lavorare insieme”.

Il tuo cocktail “perfetto” preferito?
“Mi sono cimentato per un periodo con il mondo dei cocktails. Ho comprato dei libri e un set per farli. Avevo anche cominciato a fare sciroppi, ma diciamo che il periodo è durato al massimo un mesette e qualche cocktail lo facevo. Preparavo il Negroni che mi piace molto, lo facevo abbastanza bene, ma non così bene come i bravissimi bartender che ho conosciuto con Campari”.

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Ci racconti la tua personale definizione di cinema?
“Allora, io ho un’immagine precisa di me bambino, molto piccolo, che viene portato sul set de La Città delle Donne di Fellini a Cinecittà. Quell’immagine, che era un’immagine di un film di Fellini, fatta di nani, elefanti, ballerine, una montagna russa ricostruita, per un bambino, per quanto fossi cresciuto sui set cinematografici, mi ha fatto entrare in un mondo magico, dove i miei occhi sono rimasti stranamente stupefatti, in maniera diversa da un adulto, come se quel mondo fatto di fantasia e magia diventasse quasi realtà. Ma come definizione ti direi che è l’arte che racchiude in sé tutte le altre arti: la musica, la scultura, la pittura, la letteratura, la poesia. Credo che il cinema abbia questa capacità e possibilità, se è fatto bene.”

Ci sono registi e film contemporanei che sono in grado oggi di emozionarti?
“Sì, beh ce ne sono tanti.. ma non tantissimi. E’ un lavoro difficile quello del regista, infatti di film belli in un anno nel mondo ce ne sono pochi. Partiamo dal concetto che essere un bravo regista è una cosa difficilissima, è un lavoro difficilissimo. Bisogna saper orchestrare tutte le arti senza magari possederle, per esempio la musicalità di un film, tutto l’aspetto sonoro, è qualcosa nella quale il regista interviene parecchio, ma il regista non è un musicista. Io ho fatto due cortometraggi e mi sono ritrovato a parlare con i musicisti e a fare le musiche, e quindi in quel momento ero un musicista anch’io, senza sapere una nota, però dovevo immettermi nel mondo musicale, comunicare con un musicista, stabilendo e trovando un codice che filmicamente corrispondesse a quello che dovevo emozionalmente trasmettere. Tornando alla domanda, Nolan è un regista che mi emoziona e mi interessa sempre, come mi interesserebbe tantissimo lavorare con Bertolucci, ma non so se ha intenzione di fare altri film. Mi piacciono anche i grandi nomi come Scorsese.”

Che cosa provi finito un film, quando ti rivedi?
“Dipende, è abbastanza particolare per me. Proprio per il lavoro che ho fatto prima per tanti anni, quando facevo l’operatore con la pellicola, si andava ogni sera in proiezione e si guardava i giornalieri del giorno prima, quindi in qualche modo per me non è strano rivedere quello che è stato fatto, anche se ci sono io dentro, è qualcosa che si è trasformato, con un abitudine che era un’abitudine quotidiana di vedere il girato. Quindi di solito ho un occhio che diventa meno da attore e diventa altro, l’occhio di qualcuno che vede esternamente il progetto. Tornando alla domanda, quindi se il progetto funziona, a prescidere dalla interpretazione, mi piace, se il progetto traballa mi faccio schifo e me ne vado.”

Siamo nell’era di internet e social media, come credi sia cambiato, se lo è, l’approccio al mondo del cinema e dell’entertainment, cosa ne pensi di Netflix e Amazon?
“Lo streaming è e sarà il grande cambiamento. La qualità del cinema che va sullo smartphone, questo è il grande cambiamento. Ed è un cambiamento per tutti noi del settore molto favorevole, potenzialmente non c’è mai stato così tanto lavoro, per una questione di ore di contenuti che tutte le piattaforme hanno bisogno di riempire. Nell’audiovisivo non ci sono mai stati così tanti investimenti e quindi possibilità. Questo mondo va intercettato… e capito.”