Performance Sweet Home di Ilaria Dalle Donne (2018)

Chi ha avuto la fortuna di avere amiche o amici come coinquilini sa cosa è la kitchen therapy: quelle ore passate la sera o nei sabati mattina che iniziano all’ora di pranzo a rispondere davvero alla vera domanda ‘come va?’.

Perché kitchen è ovvio, therapy perché poi si sta meglio o ci si sente comunque più leggeri, sia che si sia trattato di un monologo alternato – forma di conversazione più diffusa di quanto si pensi – sia che sia stato un vero dialogo, in cui le idee un pochino scartano di lato passando da una bocca all’altra.

Queste sensazioni non sono lontane dall’idea che sta alla base di un festival decisamente sui generis che si presenta in anteprima sabato 18 e domenica 19 novembre a Vicenza: una due giorni di incontri che disegna quello che succederà in grande stile a giugno 2018.

Still da Frank, film in programma nella rassegna Visioni della Mente (2018)

Si chiama ‘Gli Stati della Mente’ e parla e fa parlare di salute mentale, quella cosa che va manutenuta un po’ tutti i giorni, da tutti, e noi tutti lo facciamo in realtà, anche se non ce lo diciamo.

Qui il benessere delle nostre emozioni diventa il centro del discorso, partendo dal presupposto che se non con la parola con cosa si possono individuare gli eventuali piccoli e grandi problemi? Ci vuole un festival fatto di incontri e di teatro, di arti varie che con il loro linguaggio ambiguo ci tirano fuori quello che nelle (fragili) certezze di tutti i giorni ci sfugge. Con leggerezza. Ne parliamo con Petra Cason, ideatrice del Festival.

Petra Cason
Petra Cason

‘Racconti Limbici’ è il titolo della prossima edizione del Festival ‘Gli Stati della Mente’ di cui si terrà l’anteprima il 18 e 19 novembre. Che ruolo hanno la narrazione e il racconto nell’ossatura del festival? La narrazione avrà un ruolo fondamentale. Mi piacerebbe diventasse il trait d’union tra le diverse forme d’arte che verranno messe in campo durante la seconda edizione. Parto ispirandomi dal concetto di “medicina narrativa”, una modalità d’intervento introdotta in medicina nel secolo scorso, che riconosce nel racconto – nella comunicazione – un’importanza clinico/assistenziale di grande rilievo, per comprendere, e superare, molte patologie, soprattutto quelle legate ai disturbi della mente. Il racconto diventa parte integrante del processo di cura. Ma è importante, la narrazione, non solo nel rapporto tra mendico e paziente, ma tra qualsiasi essere umano! L’arte ha la capacità comunicativa, talvolta senza nemmeno necessitare dell’uso della parola (scritta, ascoltata, letta, parlata) che consente la trasmissione di contenuti con un’immediatezza e una precisione incredibili. Abbiamo tentato di farne buon uso, al fine di sensibilizzare e sviluppare una riflessione attorno ad un tema così ampio e complesso.  L’altra metà del titolo, “limbico”, mutua dal sistema limbico, ovvero la parte del cervello deputata alla gestione (tra le altre cose) delle emozioni. Fondare la seconda edizione del festival “Gli Stati della Mente” sulle storie (personali) delle emozioni più profonde, quelle che sconquassano e inevitabilmente modificano il corso delle nostre vite, ci è sembrato, a questo punto, inevitabile.

Perché hai scelto il tema della salute mentale? Cosa significa per te/voi? A portare ad occuparmi di salute mentale attraverso il linguaggio dell’arte è stato, a suo modo, un caso. Due ottimi fotografi, amici e collaboratori, alla fine del 2015 mi hanno chiesto di curare la sezione espositiva di un lavoro di reportage che narrava in maniera silenziosa ma al contempo lampante, la situazione drammatica degli ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia. Le sei strutture rimaste in tutta Italia, a metà tra carceri e manicomi, sopravvivevano come un’appendice scomoda alla Legge Basaglia, che dal 1978 aveva permesso lo smantellamento di un sistema obsoleto di internamento dei pazienti psichiatrici. Questo reportage, diventato una videoinstallazione, è stato il “deus ex machina” di un progetto che, più di un anno dopo, è diventato il festival “Gli Stati della Mente”.
Cercando un “contenitore”, a Vicenza, adatto ad ospitare un lavoro a suo modo scomodo, ho scoperchiato un vaso di Pandora! Affrontare un simile argomento significava mettere in luce una situazione irrisolta e ancora fortemente attuale, ovvero il rapporto conflittuale che la società ha con la malattia mentale, di timore (poco reverenziale) e di incapacità ad affrontarlo con l’apertura – chiamiamola accettazione – che consentirebbe un miglioramento della vita di molti pazienti e delle loro famiglie. Tuttavia ho trovato un terreno particolarmente fertile, a partire dalle istituzioni, sensibili da par loro, ma soprattutto rendendomi conto che, in maniera trasversale, erano in molti (in campo artistico, così come nel settore sociale) che si stavano già occupando di salute mentale, e che era mio compito, a quel punto, tentare di costruire una rete.

Credi che un festival sia lo strumento giusto per affrontare questo tema? Non lo so se è lo strumento giusto. Ma so per certo che è la forma esatta del processo creativo attorno al quale tutto il progetto si è sviluppato. Non sarebbe bastato un singolo evento, non sarebbe bastato un momento circostanziato. Affrontare attraverso l’arte il tema della salute mentale richiedeva grande impegno e una piattaforma ampia, in grado di accogliere proposte anche molto differenti tra loro, e che sapesse trasmetterle ad un pubblico altrettanto eterogeneo. Naturalmente i molti eventi della prima edizione si sono radunati attorno a quattro grandi sezioni: dialoghi, laboratori, teatro/performance, mostre. Ormai la macchina era stata messa in moto: risultava impossibile fermarla…

Che relazione vuoi instaurare con Vicenza, la città che ti ospita? Che legame c’è, se c’è, con il territorio? Fin dallo scorso anno ho tentato di stabilire un contatto piuttosto stretto, ravvicinato e di mutuo aiuto, con la città di Vicenza. Vicenza ha uno spaccato storico importante nella vicenda psichiatrica italiana, con ancora una presenza imponente – dal punto di vista architettonico e urbanistico – del complesso di San Felice, che nel secolo scorso ospitava l’ospedale psichiatrico. Ma indipendentemente da queste premesse, un festival come il nostro ha bisogno di fare rete, per entrare in dialogo con interlocutori tanto diversi, ma soprattutto per dare voce a realtà che in primis sul locale stanno già dando molto nel luogo in cui sorgono e lavorano. Ma che, all’interno di un contesto allargato, possono concedersi un più ampio respiro: ecco perchè, pur avendo l’intenzione di mantenere forte il legame con la città che ci ospita, stiamo aprendo il nostro sguardo ad interventi e partecipazioni nazionali e, chissà in futuro, internazionali.

Cosa succederà nell’anteprima del 18/19 novembre? Il prossimo weekend ci consentirà di legare, non solo idealmente, la prima alla seconda edizione. Nella splendida cornice di palazzo Chiericati, sede dei Musei Civici cittadini, due eventi ci permetteranno di raccontare alla città (con chi c’è stato, per chi non c’era) cosa è stato il festival nel 2016, ma soprattutto ci consentiranno di spiegare meglio quale direzione il progetto “Gli Stati della Mente” sta prendendo. L’evento inaugurale di sabato 18 novembre darà idealmente il via agli eventi che, a partire da gennaio, accompagneranno il pubblico fino alla prossima, seconda, edizione, a giugno 2018: un focus particolare sarà sulle anteprime importanti. La collaborazione con la Fondazione Teatro Civico ci consentirà di portare in scena, l’8 giugno prossimo, “Un bés – Antonio Ligabue”, per la regia di Mario Perrotta. La partnership con Cascina Rossago farà sì che potremo ospitare una notevole performance dell’Orchestra Invisibile. Il programma di conferenze e proiezioni a cura di Walter Ronzani. I laboratori di performing art per le scuole con la coppia di artisti Penzo + Fiore, e molto altro… Nella stessa serata i nostri ospiti assisteranno alla splendida performance, per la regia di Matteo Maffesanti, “Bestiario Universale” ad opera del Collettivo Elevator Bunker. Domenica 19 novembre, invece, ci addentreremo nei temi cardine della prossima edizione, ospitando una tavola rotonda a tre, con gli interventi di Andrea Danieli dirigente del DSM ULSS 8, che ci parlerà de “la ricerca culturale del benessere psicologico”, di Pasquale Campanella, artista fondatore della Fondazione Wurmkos che porterà la sua “esperienza tra il sociale e l’arte contemporanea”. Dedicheremo inoltre un focus su “sofferenza psichica e specificità di genere” grazie ad un dialogo a due tra la Dott.ssa Rossana Riolo, del DSM di Camposampiero e la Dott.ssa Alessandra Sala del DSM ULSS 8, che cercheranno di esplorare il rapporto tra donne e psichiatria, portando la loro esperienza sul territorio.

Dalla mostra collettiva Blooming Buzzing Confusion, a cura di Silvia Petronici (dall'edizione 2016 del festival)
Dalla mostra collettiva Blooming Buzzing Confusion, a cura di Silvia Petronici (dall’edizione 2016 del festival)

Nella prossima edizione del festival, in programma nel 2018, l’arte contemporanea avrà un peso importante. In che termini e come? Sto lavorando da diversi mesi al fine di istituire un premio di arte contemporanea, che ci permetterà di dar vita ad un collegamento diretto tra il circuito dell’arte contemporanea – italiano e internazionale – e la città di Vicenza. Questo premio culminerà in un’esposizione d’arte che sarà il fulcro della sezione espositiva della prossima edizione del festival, ma non l’unico.  Per il momento è ancora da considerarsi un work in progress, ma entro alcune settimane ne daremo comunicazione ufficiale. Pertanto “stay tuned”, tenendo d’occhio la pagina facebook “Gli Stati della Mente” e il sito glistatidellamente.com