Neppure un istante per godersi la prima granfondo che taaac, ecco che a Milano ne debutta una seconda. E posso mancare io? No di certo!

Ma facciamo un passo indietro per esplorare la kermesse di tre giorni, o meglio, due giorni e mezzo, che dal 22 al 24 settembre ha ospitato in “area Vigorelli” il ciclismo e i suoi amatori. Non solo granfondo quindi, ma Vodafone MilanoRide, così è stato battezzato l’intero evento-contenitore, avrebbe offerto a milanesi e non, ai molto appassionati di bici e ai meno, un happening dedicato alle due ruote. Con la “Scala del ciclismo” di Milano, il Velodromo Vigorelli, trasformato per l’occasione in “centro direzionale” di un’offerta che spaziava dalla granfondo DeeJay 100, alla più innocua passeggiata per famiglie Milano Light, fino alla MTB e alla gara di scatto fisso. Un Vigorelli quindi identificabile nel luogo ideale dell’azione, ma purtroppo non in una vera e propria sede degli eventi. Sì perché con il legno della pista nuovamente tutto fessurato dopo l’impegnativo restauro, sembra che ancora meno di ieri si possa pensare di organizzare una competizione di fixed là dove Coppi e Moser scrissero pagine esemplari di storia.

Al Village di MilanoRide ci si allena con sofisticatissimi rulli nel divertente stand della Vodafone. Speriamo di vincerli al concorso…

Così fa un po’ tristezza vedere alternarsi le batterie dei concorrenti della scatto fisso esattamente fuori dal Vigo, a spingere nelle strade limitrofe transennate. Devono averlo pensato anche gli appassionati del genere perché, a differenza di Lambro Crit e di Red Hook, dove a sostenere i propri beniamini c’è una discreta folla anche nella profonda e umida notte, qui i beniamini sembrano essere comunque arrivati e ce la mettono pure tutta, ma già alle 20/20.30, quando sono passata a dare un’occhiata alla Milano Fixed, sono soli soletti e corrono in un buio silenzioso un po’ spettrale. Mi aspettavo poi tanta musica adrenalinica selezionata da DeeJay e, perché no, qualche furgoncino per spararsi un hamburger e una birretta, così come si usa tra il popolo fixed, ma tant’é… il popolo non era pervenuto e così mestamente mi sono avviata a casa sperando in una più radiosa partecipazione corale alla granfondo.
Sì perché non mi piace “vincere facile”. Un po’ di donne agguerrite non possono mancare a cercare di spingermi in fondo alla classifica.

Una batteria di Milano Fixed alla partenza in “notturna”

Ormai “esperta” nella preparazione e forte dell’esperienza passata della Granfondo Milano mi preparo in 10 minuti. Manicotti, mantellina, barrette di cereali e cioccolato a colazione, una paio di Omega 3, una bustina con aminoacidi, come insegna l’amica Sarah… e via! Si parte all’alba verso una nuova avventura.
Già mi rincuora il fatto di non essere sola in strada. Gruppetti di 3/4 ciclisti stanno palesemente convergendo verso la mia stessa meta e… wow! le batterie sembrano belle piene! Ed anche se non si allungano all’infinito come alla partenza della Granfondo Milano, c’è la consueta atmosfera elettrica che “fa” granfondo doc.

Il “kit della sopravvivenza” questa volta è supervisionato da Dino. Non mancherà nulla!

Entro al Vigo per la foto di rito e per salutare i miei compagni di maglia. Porto infatti i colori di “inLombardia”, brand creato da Regione Lombardia per inaugurare 7 bellissimi itinerari cicloturistici immersi nella bellezza e nella storia della nostra regione che oggi, forte dell’aumento esponenziale di presenze negli ultimi anni dall’Expo in poi, ambisce ad aggiudicarsi il primo posto per turismo in Italia. Sono qui infatti grazie all’invito di Alfredo Zini, ristoratore/ciclista/consigliere CRL-FCI. La sua telefonata mi mise alle strette: ok, andata, avrei fatto due “prime” granfondo in una settimana. Così è con una luminosa tutina bianca decorata a stelle multicolor, firmata da quel bel tipo di Rosti da Brembate, che mi avvio alla primissima griglia circondata da un Nicola Savino influenzato, ma presente almeno alla partenza, da un Linus in pole position microfonato per salutare tutti e da una coraggiosissima Roberta Guaineri, assessore allo sport, in prima linea e pronta a scattare. Dichiarerà, pochi attimi prima della partenza, consapevole di essere più runner che ciclista, di voler tentare di farcela fino in fondo. Brava. Dalla classifica ENDU risulta infatti ce l’abbia fatta.

In griglia in trepidante attesa, da sinistra il collega di La Repubblica Francesco Franchi, una concentratissima Roberta Guaineri, assessore allo sport del Comune di Milano e Linus

Così, se alla partenza questa volta la musica è più bassa e mi rilasso all’idea che forse non verrò schiacciata dall’orda in rimonta da dietro, ecco che la passerella in città, che doveva svolgersi con la safety car alla prudente velocità massima di 25 km/h, sembra già fuori controllo… si va a più di 30, parola di Strava, e si attraversano passaggi da brivido, tra restringimenti per lavori all’Arena, spartitraffico che chi viene da fuori non conosce e… il terribile pavé, capace di inghiottirti in un botto la ruota se non selezioni con cura la traiettoria. Davanti a me c’è un tizio con la maglia Mediolanum che ha freddo e decide, poco prima di una curva a gomito, di mettersi il gilet… ussavia! Scappo insieme ad un ragazzo svelto che giustamente esclama “questo ci uccide”.

Ma finalmente dopo il Castello Sforzesco si ricomincia a respirare ed eccomi quindi proiettata in fuga dalla città in C.so Sempione. Bello iniziare a respirare un po’ di aria di periferia… ed anche se a Rho/Pero non c’è mai stato niente di salubre, almeno posso iniziare a trovare il mio ritmo. Un ritmo che so dovrà durare a lungo, questa volta. Sì perchè non ci sono salite, ma solo piccoli e brevi strappi, a circa metà percorso. Il resto, come molti appassionati hanno detto scegliendo poi di disertare questa granfondo, dovrebbe essere tutto un “noioso piattone“. Noioso? Non per me! Per me il piatto è una sfida soprattutto psicologica con me stessa. Non c’è la salita che può avvantaggiarmi per leggerezza e allenamento estivo in montagna. Non c’è quindi la selezione che lascia molti uomini ansimanti alle mie spalle… qui bisogna solo spingere. E spingere. E spingere. In un eterno ritorno circolare che se da una parte può tradursi in un positivo mantra, talvolta rischia di scivolare in un incubo ricorrente. Di questo ne sono molto consapevole e così mi salvo.

La divisa bianca di inLombardia, il brand della regione che promuove il nostro turismo

I diversivi poi non mancano. Ci sono tanti “treni” da prendere. Ovvero i gruppi a cui ti agganci per stare in scia e riposarti un po’. Così sperimento un viaggio in prima classe con il team Brontolo Bike di Andrea Noè. Ciclisti esperti che hanno un ritmo perfetto per la mia gamba. Peccato solo che, fin troppo compatti nello squadrone, si fermino per aspettare chi è rimasto indietro. Più che Brontolo allora… Biancaneve! Troppo buoni!

Ci sono poi tanti con la maglia ufficiale rossa, alcuni organizzati, altri in solitaria, come il tipo simpatico da Cesena che, mi racconta, ha vinto la DeeJay 100 come “premio fedeltà” ed è felicissimo di non dover affrontare, con i suoi 90 e passa chili, alcuna salita. Tra i personaggi un po’ in carne incrocio spesso un ciclista che porta i colori del Team Polizia e, ginocchio bello fuori, ce la mette tutta… sbagliando uscita alla rotonda. Lo rimetto in carreggiata con qualche urlo ma… non mai l’avessi fatto! Si piazza al centro e blocca un po’ tutti. In questi casi che si fa? Attacco bottone. Sei del Team Polizia? Mi guarda un po’ stupito. “No…no… mi hanno prestato la maglia…” Ok, allora mi posso scatenare: ma non ti pare che è meglio se stai un pochino di più a destra? Si mette a ridere. Avrà capito che… Dumbo non sempre può volare? Mah. Simpatico però, corro con lui una manciata di Km.
Passano così i paesi, i campi e gli stradoni, in serena velocità. Perbacco a tratti supero i 32 km di media!
Arriviamo a Casorezzo e ci si imbatte in una curiosa protesta di paese. Veniamo infatti ricevuti a sacchi della spazzatura (finti) in faccia. “No alla discarica… no alla discarica…”. Ok, ok, ma che c’entriamo noi? Mica abbiamo le telecamere al seguito, mica siamo al Giro d’Italia. Decido così che è meglio non fermarsi al ristoro. Anzi, sai che c’è? Decido proprio di non fermarmi mai, se non all’arrivo. Obiettivo rivedere il Vigorelli non più tardi delle 11.30.

La protesta “mediatica” contro l’apertura di una nuova discarica a Casorezzo. Si schivano i sacchi della spazzatura…

Arriviamo così in quel di Turbigo dove ci sono “Gatta” e “Gattina”, due strappetti di cui sento parlare e di cui nessuno sa il motivo del curioso nome. Ma è grazie a questi due felini d’asfalto che posso capire che uno strappo non è una salita, non dura abbastanza per esserlo, e non fa troppo per me. C’è chi infatti lo affronta con il rapportone e fa bene. Ma io, che non sapevo quanto sarebbe durato, avevo già indossato il 34 davanti e, a mezzo pignone dietro, mi rendevo inesorabilmente conto che ogni colpo di pedale era una perdita di ritmo molto pericolosa. Meno male che non ci sono altri strappi. Si può riprendere il rassicurante piatto che da Abbiategrasso ci riporta verso Milano.

Così, tra nuvole di moscerini che qualche demone dispettoso sembra tirarci in faccia a manciate, si arriva a una sequenza di rotonde, ahimè, belle scoperte anche in questa granfondo che pensavo più dotata di mezzi. E invece no. Qui in alcuni passaggi critici nè alpini nè volontari nè moto. Nè più ne meno che a Monza la scorsa settimana. E c’è pure un caprone con macchina nera che affianca il nostro sparuto gruppetto strombazzando il clacson e tirando fuori il dito medio. Proprio un signore.

Intesa perfetta con Aldo Rock

Ma ormai siamo agli ultimi chilometri ed è giusto incominciare a guardarsi intorno e tentare di procurar battaglia. È troppo gentile infatti Stefano con la sua Pinarello in acciaio con un 45 davanti e marcia unica dietro. Troppi rpm da fare per inseguirmi. E così è per Valentina che raggiungo nuovamente dopo che mi aveva superato al seguito di un gruppetto. Sento però di poter dare di più. Scusami se non ti saluto bene, ma devo proprio andare. Tengo un pochino più di cattiveria.
Mi supera in velocità un gruppo misto. C’é un’unica donna con loro che viaggia forte. Maglia verde/nera con nome del team “Salita e Vento Contro”. Alle rampe però li riprendo sempre. Ed ecco la stoccata. Dico al primo: “Vento sì ma salite mica tanto, eh?”. Battaglia procurata!

Il fascino della gara: lanciarsi in volata e approdare al traguardo carichi di adrenalina insieme a chi ha diviso con te gli ultimi chilometri

Ci incanaliamo nelle strettoie un po’ pericolosette degli ultimi 5 km. Io sono davanti. Siamo in vista del Portello. Poi mi attacco alla ruota di un solitario che dopo meno di 1 km molla il colpo. Mi attacco a un altro. Idem. Il gruppo “Salite e Vento Contro” mi riacciuffa e mi supera in massa. Mi dico: ben ti sta a fare la spaccona. Ma non demordo e sto alla ruota dell’ultimo. È un attimo e vedo il traguardo. Mi scatta qualcosa dentro: dai, volata… proviamo… ce n’è ancora… di più. E parto. Sento la bici che ondeggia sotto di me, proprio come se fossi in piedi sui pedali, ma non ne ho bisogno e preferisco accelerare compatta, senza rischiare sbilanciamenti. E volo! Li passo tutti ed una una festa! Sverniciati con fair play. E infatti qual’è la vittoria più bella in questa seconda granfondo? I complimenti incassati dopo la linea del traguardo: dammi un 5, brava.

L’ormai classica foto di rito di fine corsa

 

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