Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo - foto Erica Fadini

È qualche secolo che menti ben più lucide della mia si chiedono cosa sia l’arte. A me la parola arte viene in mente spesso quando osservo chi danza, chi riesce a raccontare una storia con il corpo, chi lo trasforma in uno strumento che risuona insieme alla musica.

C’è allenamento, c’è disciplina, c’è invenzione, c’è il coraggio di chi in scena ci mette faccia, carne e sangue. Il tango, in tutto ciò, è una danza e non è solo una danza: è un racconto per parole, musica e gesti che si scrive di passo in passo nei corpi di chi lo svolge, è una conversazione che custodisce nell’improvvisazione un seme ineliminabile di sincerità.

Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo - foto Erica Fadini
Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo – foto Erica Fadini

Il tango, lo dico da assoluta profana, ha anche un altro elemento di estrema bellezza: il costante andirivieni fra la passione e la disciplina, l’esaltazione del controllo e della compostezza come espressione di rispetto per se stessi e per l’altro/a, l’annullamento graduale delle distanze che sottintende la necessità di un percorso di avvicinamento in cui ci si studia e ci si osserva e che descrive una forma di seduzione che si svolge su un filo sottile, ipnotica nell’imprevedibilità del suo esito.

Abbiamo chiesto a Monica Maria Fumagalli, ballerina e insegnante di tango a Milano, scrittrice e cultrice appassionata del mondo che nel tango si esprime, di provare a spiegarci le radici di questa danza e il modo in cui possiamo avvicinarla oggi.

cover del libro 'Jorge Luis Borges e il Tango' di Monica Maria Fumagalli
cover del libro ‘Jorge Luis Borges e il Tango’ di Monica Maria Fumagalli

Cosa è il tango? “Il tango è una triade di forme espressive: danza, musica e poesia. C’è il linguaggio visivo del corpo che si muove e che incanta gli occhi, c’è l’ascolto della musica e delle liriche che è un modo altrettanto profondo di seguirlo e che a Buenos Aires, città dove il tango è nato, è vissuto con altrettanta passione. Il tango è la manifestazione di un’esigenza popolare: all’inizio del ‘900, quando cominciò a farsi strada, era l’unico punto in comune fra i tanti migranti arrivati nella capitale argentina da ogni parte del mondo, con lingue, tradizioni e culture differenti. Quell’urgenza ha fatto sì che proprio fra gli anni ’20 e ’40 crescesse di qualità e spessore in ogni suo aspetto, fino agli anni ’40, appunto, epoca d’oro per l’eccellenza della scrittura musicale e dei testi che, nelle parole dei letristas, diventavano vere e proprie poesie”.

Come è cambiato nel tempo il tango? “In quanto espressione popolare, il tango riflette l’evoluzione del mondo e della società. Il contatto continuo con il suolo, con la terra battuta racconta ancora oggi i migranti che, approdati in Argentina all’inizio del XX° secolo, battevano i piedi per dichiarare che quella terra era (anche) loro, che c’erano radici da rivendicare ben salde nel luogo da cui erano partiti e da costruire nel luogo dove erano arrivati. Il tema della terra era strettamente legato a quello dell’identità: i primi tangueri erano carismatici, avevano personalità molto forti che emergevano nell’improvvisazione, nell’invenzione e nella continua sorpresa di un ballo che era anche strumento di socialità e seduzione. Nei decenni sono cambiati i luoghi, gli abiti, le scarpe, l’essenza delle relazioni uomo-donna: tutti elementi fondamentali nel tango che, evolvendosi, ne hanno stimolato l’evoluzione portandolo verso una codifica di passi e movimenti condivisa. Un passaggio importante per il tango si compie negli anni ’20-’30, quando Parigi, riferimento culturale per l’Argentina, scopre ed esalta la bellezza del tango, facendo nascere una nuova consapevolezza fra chi stava facendo crescere il movimento intorno a questa danza. Il tango cambia così nel tempo, cambia anche a seconda degli spazi e dei desideri di chi lo vive, a seconda che sia per spettacolo, per approfondimento di un mondo o per divertimento. Il tango cambia soprattutto a seconda che lo sguardo al centro dei pensieri sia quello di chi lo danza o quello di un pubblico”.

Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo - foto Erica Fadini
Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo – foto Erica Fadini

Quanto racconta della cultura argentina il tango? E quanto della cultura italiana? “Intanto è necessario sottolineare che il tango è una espressione popolare urbana, prettamente cittadina. Non c’è giovialità nel tango, non ci sono cordialità e immediatezza. Ci sono piuttosto un profondo senso della dignità e una ritualità che permette a un uomo e a una donna sconosciuti di avvicinarsi in una forma protetta e animata da un estremo rispetto reciproco. L’Argentina era ed è una terra in mano a poche famiglie che posseggono la maggior parte delle terre e delle ricchezze, a tutti gli altri spettava il compito di ritagliarsi un proprio spazio: il tango era uno degli strumenti, non a caso nasce proprio mentre nasce l’Argentina moderna, mentre la grande ‘spartizione’ del Paese si compie. La radice italiana di questa danza è fortissima perché tantissimi erano e sono gli italiani d’Argentina: il melodramma, il senso dell’onore, la passionalità italiana aleggiano nel tango, in quella misura unica e irripetibile dosata dalla mescolanza di culture e provenienze che lo ha generato. Non a caso, oggi l’Italia è probabilmente il Paese in cui il tango si vive e si balla meglio, dopo l’Argentina che resta, a mio parere, l’imprescindibile punto di riferimento e il luogo in cui ancora oggi e probabilmente per sempre il tango si alimenta delle sue radici e cresce”.

Cosa ha di speciale una milonga? “Il luogo è primario nella caratterizzazione del tango, come lo è per tutte le espressioni creative urbane. Il tango del centro cittadino nella tradizione era già diverso, ad esempio, da quello delle periferie. Nelle periferie, infatti, erano le coppie già formate ad andare a ballare il tango il sabato, questo portava a una danza più fantasiosa, più di scoperta nella danza. In centro città il tango era ballato da uomini e donne che andavano da soli in milonga, anche cinque sere a settimana, e ballavano per incontrarsi, con un linguaggio del corpo discreto e intimo. Possiamo forse immaginare che il tango abbia bisogno di uno spazio chiuso per esprimere al meglio la sua energia, uno spazio dove gli sguardi si concentrino, perché è con lo sguardo, la mirada, che l’invito si compie, è lo sguardo che autorizza ad avvicinarsi secondo un codice rigido e ben noto a chi balla e che nessuno vìola”.

Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo - foto Erica Fadini
Monica Maria Fumagalli e Yatma Diallo – foto Erica Fadini

Che ruolo ha l’altro nel tango? Come si gioca la relazione fra i due danzatori? “Nelle milonghe dei centri urbani, frequentate tradizionalmente da singoli ballerini e ballerine, il tango è stato sempre strumento di conquista. La Buenos Aires di inizio ‘900 vedeva un rapporto di 7 uomini per ogni donna, questo rendeva la seduzione una necessità vitale. Gli uomini studiavano e si allenavano per imparare a ballare al meglio e cercavano di distinguersi, di esprimere una personalità che andasse oltre ogni tecnica e virtuosismo. Nella capacità di sorprendere, di improvvisare, c’era la possibilità di emozionare e lasciare il segno e quell’urgenza è, a mio parere, ancora oggi una cifra fondamentale del tango, anche quando si vorrebbe lasciare alla tecnica e alla spettacolarità il primato. Il tango è un ballo appassionato e intenso, introspettivo, controllato e estremamente rispettoso, in cui la donna e l’uomo si ammirano, si studiano, si avvicinano con estrema attenzione. Oggi il rapporto numerico uomini-donne si è quasi ribaltato e si sente nel modo in cui le coppie si accostano a questa danza, con un accento molto forte sulla tecnica”.

Consigli per chi vuole imparare a ballare il tango. “Per imparare le strade sono due: lezioni private o lezioni di gruppo. Per chi vuole cominciare consiglio senz’altro le lezioni di gruppo: il modo più divertente per entrare in questa danza e in questa cultura, sperimentandone anche l’aspetto sociale che rimane uno dei suoi cardini”.