Quante cose scopro di aver scoperto, oggi, al mio quarantanovesimo articolo dedicato alla passione per la bici su Fashion Times. Ne è passato di asfalto sotto i pedali da quando, alla ricerca di qualcosa di più piacevole della palestra, per smuovermi dal classico sedentarismo delle PR, riesumai la vecchia mountain bike dalla cantina, per risistemarla prima in ciclofficina e poi per riprendere ad addestrare il polpaccetto alla missione apparentemente impossibile dei chilometri a dozzine.

Dopo la fase solitaria ed esplorativa sono indiscutibilmente approdata all’età più matura della socialità. Dalla scoperta delle cose, come raggi, movimenti centrali, telai, selle e naturalmente abbigliamento e accessori trendy, ovvero l’infanzia di una passione, eccomi arrivata all’adolescenziale scoperta delle persone che condividono voglia di pedalare e di parlare di questa voglia.

Così, ad una conferenza da Ciclosfuso promossa da Cinelli, incontro Sara Atelier.
Non inganni il nick. Sara non si occupa di abiti da sposa, ma di allestimenti e, come sempre accade tra fanciulle metropolitane affini, scatta subito una conversazione rapida sui motivi che ci hanno condotte lì. Facile contare su una base certa di argomenti condivisi. Non restava quindi che ritrovarsi per un aperitivo di approfondimento. Anche perché Sara ha fondato, insieme a due amiche altrettanto innamorate della bici, un “gruppo-iniziativa”, non saprei come diversamente definirlo, che risponde al nome di Wonder Way MI e che si presentò a me, quella stessa sera del primo incontro, sotto la forma di una promettente cartolina colorata di un celeste pericolosamente simil-Bianchi. Goethe aveva perfettamente ragione: i colori compiono azioni sensibili…

“Com’è nata l’idea di Wonder Way? – esordisce Sara davanti a un cocktail piccante. Questa volta non è un’intervista, ma un aperitivo. Bello rilassarsi ogni tanto. Vediamo cosa ho capito. E giuro che non mi ero per niente preparata, non avevo esplorato neppure la pagina Facebook.

Il wonder trio con, da destra, Sara Atelier, Alberica Di Carpegna, Giulia Capodieci

Così è stata una sorpresa, anzi, come dicono Sara & co, una meraviglia scoprire che le “wonder experiences” sono gite tutte particolari, costruite dopo opportuna tracciatura preliminare del percorso, alla scoperta di piccole/grandi cose che animano la città: da un balcone fiorito a un arabesco liberty, fino a una semplice foglia secca. Sarà che lo sguardo di un ciclista tende a soffermarsi sugli stessi particolari, ma io gran parte degli scorci che ho visto nella pagina Facebook li ho riconosciuti. Eppure non c’è quasi nulla di noto, nulla di monumentale. “Abbiamo pensato un giorno di fare un percorso in bici, alla scoperta di cose belle che avevamo visto in città e così, un po’ per gioco, pubblicando un invito su FB, convinte che al massimo saremmo partiti in 3 o 4 oltre a noi 3, ci ritrovammo invece in 35 e poi in 60 e più ancora, oltre 100…”

Un gruppo di wonder esploratori a Groppello D’Adda

Insomma la storia è apparentemente easy, ma già vanta nelle ruote ben 7.800 km e 4.200 partecipanti. Prima volta che vedo ancora il reale superare il virtuale: Facebook annovera “solo” 3.392 likes, meno di chi ha veramente pedalato, esplorato, fatto foto e quindi vissuto veramente la scoperta di luoghi vicini e spesso ignoti.
Martesana? Fatto. Crespi d’Adda? Raggiunto. Il Ghisallo? Bè.. non ancora. Parlo di me, naturalmente, mentre Sara lo ha raggiunto eccome e infine è approdata al Vigorelli. Dal santuario al tempio.

“Per risvegliare il senso di meraviglia nelle persone di solito ci inventiamo degli esercizi” cioè? “Attività divertenti mentre si fa il giro in bicicletta. Ad esempio abbiamo distribuito lenti colorate, con cui si possono vedere le cose che ci circondano in modo diverso. E dallo sguardo si passa alla foto. Prima si osserva attraverso la lente e poi se piace quello che si vede si scatta la foto, sempre filtrata dal colore”. Insomma è una missione… “Sì, tanta gente non scopre che è bello andare in bici fino a che non ci prova. Noi cerchiamo di ispirare il semplice gesto della pedalata. Con qualsiasi tempo. A Milano infatti la gente o non pedala perché fa troppo caldo o perché fa troppo freddo” E pensare che a Londra… “Già, ma la sfida è proprio questa, vincere questo timore e dimostrare che con il clima che c’è a Milano si può pedalare sempre. Quando si prova, anche solo una volta, non si torna più indietro”.

Così i tracciati insoliti pensati da Sara e le sue amiche diventano un nuovo modo di guardare la città.

Un quasi-decalogo ne traccia i confini, ampi come un continente immaginario.

Manifesto del wonder esploratore: 
1. Ri-mappa la città
2. Be Green
3. Fai amicizia con tuo quartiere
4. Bike your city
5. Cambia il tuo itinerario quotidiano
6. Risveglia la curiosità
7. Zigzaga col naso all’insù
8. Supera i confini
9. Condividi il tuo punto di vista

Quali punti mi piacciono di più? Forse Zigzaga col naso all’insù e… Fai amicizia col tuo quartiere. Anche se pedalare all’Isola è bello, ma tutto sommato sembra di essere un pesce rosso nella boccia. Difficile infatti resistere alla tentazione di prendere Melchiorre Gioia e partire per il passaggio Nord-Est della Martesana, la meravigliosa pista che non può mancare nel cv del perfetto esploratore delle meraviglie. E non manca, infatti, neppure tra le foto di Wonder Way, dove occhieggia il misterioso ponte-casa in legno di Gorgonzola.

Nel cuore della vecchia Gorgonzola, la ciclabile lungo la Martesana passa sotto l’antico ponte

Mi rilassa poco invece il quinto “comandamento”: Cambia il tuo itinerario quotidiano. Io sono un tipo che ama i binari… e poi ci ho messo un po’ a individuare il percorso migliore, quasi tutto di ciclabili, per il tragitto casa-ufficio-casa.

“La mappatura di percorsi ciclabili consente di visitare luoghi di interesse artistico e inediti paesaggi a pochi passi dalle strade che percorriamo quotidianamente, riscoprendo una mobilità più lenta. Per me la bici è un mezzo per spostarmi.

Oh! Ecco finalmente, non che la desiderassi, un’interessante differenza tra Sara e me, che mi fa riflettere.
Se ci penso bene il mio modo di andare in bici è stato, almeno fino ad oggi, un’attività interiore. Il paesaggio lo guardo, ma non rallento. I particolari li colgo, ma mi piacciono anche perché posso vederli pochi attimi e poi… puf! scompaiono superati da un colpo di pedale… più effimeri di un selfie su Snapchat. Sono sempre un po’ dispiaciuta quando arrivo a destinazione e ogni pausa, anche se per vedere qualcosa di interessante, mi pare un’interruzione.
Eh già, direi che non sono una brava cicloturista. Oppure è perché ancora non ho mai provato?
Va bene, Sara, la prossima volta ci sarò anch’io!

 

 

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