ph. Alessio Ponti

“Gli abiti di carta di Caterina Crepax sono disegni tridimensionali. C.C. è inventrice di un “genere” nuovo, che solo in apparenza rientra in quella che si suole definire “moda” e che della moda vestiario, ha solo l’apparenza estrinseca. Giacchè questi abiti di carta bianca – quasi crisalidi da cui debba uscire alla luce “l’insetto perfetto”, misteriosa donna o gigantesco pesce – sono in effetti creazioni fantastiche a metà tra la scultura e la decorazione effimera….” (Gillo Dorfles).

La perfezione della descrizione, questa del critico d’arte, pittore e filosofo Gillo Dorfles. Sono sue le parole, sue le precise e piacevoli interminabili righe che sono riassunto esatto, semplice-complesso, del lavoro, della personalità, della passione di un’artista, designer, architetto, di una donna straordinaria… Caterina Crepax e il suo formidabile mondo d’arte interiore… L’interiorità “interiorizzata” (e poi esternata), tratta da una realtà-famiglia, la sua famiglia, dove pensieri, idee, arte e creatività – spiccata creatività – si rincorrono e si intersecano tra loro da generazioni e generazioni.

E tutto è vissuto sempre con piacevole sintonia… Sintonia, armonia, passione e naturalezza, che lei rivolge fin da bambina alla carta, all’amore totale per la carta: la carta come protezione, la carta come materiale-metamorfosi per i suoi abiti-scultura, spettacolari abiti-scultura, creazioni da quel fortissimo impatto poetico e realizzate con materiale cartaceo di scarto, in un concetto etico di raffinata sensibilità anche al messaggio del riciclo.

Figlia di Guido Crepax uno dei più geniali e celebri fumettisti – ricordiamo tutti il personaggio di Valentina – Caterina Crepax è Architetto d’interni (laureata in progettazione architettonica al Politecnico di Milano), e da anni con grandissimo successo lavora come artista e designer.

ph. Emanuele Bestetti
LISA (ph. Emanuele Bestetti)

Richiestissima in Italia e all’estero, le sue creazioni spettacolari hanno trovato il loro spazio in alcune tra le Exhibitions più importanti in tutto il mondo, pensiamo per esempio (tra le altre) a : “Paper Exhibition da Malmo a Stoccolma” oppure “Per filo e per segno: da Capucci al fashion design” a Palazzo Carignano a Torino, “Ecomoda” alla Triennale di Milano, “Sao Paulo Fashion Week 2002” alla Biennale di Ibirapuera di Sao Paulo, con una personale interpretazione in carta di abiti dei maggiori stilisti brasiliani. O ancora al Salone del Mobile di Milano, ma possiamo proseguire con le diverse personali nei palazzi italiani, come per esempio a Verona a Palazzo Miniscalchi-Erizzo, “Art Basel at Miami 2004” a Miami, o l’ultimo lavoro, Morra Cinese (Sasso, Forbice, Carta) presentato ora con grandissimo successo a Milano. E tutto mentre prosegue anche il suo eccezionale impegno – con la sua famiglia – sull’Archivio del papà Guido, con sempre nuove iniziative in giro per il mondo. L’ho incontrata questa settimana per Focus On.

Parliamo per un attimo di ricordi Caterina. Come si cresce in una famiglia dove la creatività è così forte, così quotidianamente presente? Che ricordi ha di lei e dei suoi fratelli, della sua infanzia, che tipo di bambini siete stati? In un ambiente familiare fortemente creativo e originale, si cresce in un modo sicuramente un po’ anomalo o forse è meglio dire che non si cresce, si rimane bambini in eterno. Anche se nella nostra vita di bambini convivevano due realtà molto diverse. Da un lato la famiglia di mio papà, la mia parte veneziana, leggera, chiacchierona, a volte un po’ burlona e irreverente, colma di artisti o comunque di persone ricche di fantasia e di capacità artigiane : dal nonno Gilberto e i suoi due fratelli, rispettivamente primo violoncello alla Scala e alla Fenice, viola e violino, alla nonna Maria, nobildonna divertente e capricciosa, meravigliosa artigiana a tempo perso, che confezionava arazzi e bellissime bambole con avanzi di tagli di stoffe, a suo fratello, lo zio Mario, ingegnere che insegnava a mio padre a disegnare i soldatini delle antiche battaglie e a costruire con la cartapesta elmi teutonici e spade da samurai. Poi mio zio Franco, noto discografico, scopritore di talenti della canzone italiana e scrittore originale. Per non parlare di mio papà, apparentemente un uomo normale, anzi normalissimo, pignolo e “noioso” come amava definirsi lui, ma in realtà dotato di un’incontenibile fantasia che si sprigionava in ogni angolo della nostra quotidianità. Dall’altra parte, la mamma e la sua famiglia, spostandosi geograficamente di un poco, ma non troppo, il mio lato triestino: nella sua normalità assoluta, in realtà anche questa una famiglia con un lato non comune, l’adesione ad una stramba “setta” spiritista, i seguaci del visionario Swedenborg, protestanti e severi, ma sempre a “chattare” con i parenti ormai trapassati. Soprattutto il bisnonno Giovanni, nato nelle isole dell’attuale Croazia. Comunque da noi bambini, questi ultimi, i familiari ritenuti “seri”, con un grande senso del dovere e un rigore spartano nell’educazione. La nonna Hagar, figlia di Giovanni, poi sposa di mio nonno Antonio, irreprensibile generale dei Carabinieri e studioso dei classici, due guerre, due prigionie in campo di concentramento. Suo figlio, fratello della mia mamma, lo zio Carlo, stimato e temutissimo professore di veterinaria.
Insomma una famiglia leggera e creativa, il papà e una famiglia rigida e severa, la mamma. In realtà tutti affettuosi e tutti molto seri e grandi lavoratori, da entrambe le parti, ma veramente fatti di paste molto diverse.
Io sono il risultato di queste due componenti: grande senso del dovere, del lavoro, grande sopportazione della fatica e delle avversità ma, sempre, quella leggerezza e vaghezza che l’essere fantasiosi per natura ti dà. E un lato spirituale tutto mio: anch’io continuo a chiacchierare con papà e forse ci credo a quello che mi raccontava la nonna Hagar sui nostri cari estinti che stanno sempre al nostro fianco. Intanto faccio “bambole di carta” che sarebbero piaciute tanto all’altra nonna. Io e i miei fratelli, una bella infanzia ad alto contenuto surreale, con una mamma che era in carne ed ossa ma era anche disegnata nelle storie a fumetti e le due si assomigliavano un sacco, ma erano totalmente diverse, quella di carta, sognatrice, sempre a buttarsi a capofitto nelle storie più assurde e l’altra, vera, timida, severa e diffidente. Anche noi, reali ma anche copie perfette di alcuni personaggi chiave delle storie ideate da nostro padre: io Valentina da bambina, Antonio, mio fratello maggiore, il compagno di Valentina da bambino, Giacomo, mio fratello minore, il figlio di Valentina. E sulla carta d’identità di Valentina, accuratamente disegnata anch’essa, c’era scritto che la sua residenza era la stessa di casa nostra….come potevamo crescere “normali”, con un’esistenza parallela in bianco e nero sulle pagine delle storie a fumetti?

ph. Emanuele Bestetti
MILLE E UNA NOTTE (ph. Emanuele Bestetti)

Mi racconta invece il suo percorso? Percorso professionale che conosco bene, molto intenso e ricco di esperienze e successi. Vorrei però che lo raccontasse lei al meglio… Una laurea in architettura al Politecnico di Milano, poi il suo inizio come architetto d’interni … Poi che cosa è successo? Com’è nato questo suo amore, questa passione così folgorante e forte, questo suo legame speciale con la carta, e l’inizio del suo lavoro straordinario come artista con le creazioni tridimensionali di opere e abiti che tutti conosciamo? ll mio amore per la carta ho detto più volte che è nato durante la mia prima infanzia. Con papà che disegnava su carta e cartoncino e ritagliava nel poco tempo libero centinaia di soldatini, pugilatori e piloti di formula uno per ideare giochi da fare con i miei fratelli e gli amici, in casa non mancavano mai fogli e cartoni, di diversi formati e grammature. Ho cominciato presto a ritagliare figure nella carta, per rendere più tridimensionali i disegni che facevo, intagliavo o aggiungevo elementi decorativi a rilievo. Le forbici sono diventate presto un tutt’uno con le mie mani. E da lì, non mi sono fermata più. Ritagliavo anche delle figurine che avevo disegnato e colorato sulla carta del macellaio o quella del pane. Avevo capito che da un semplice foglio di carta bidimensionale si poteva arrivare al volume della terza dimensione, come nei libri pop up. Ne avevo alcuni fantastici, uno con i tentacoli della piovra di “Ventimila Leghe sotto i mari”, uno con un veliero dei pirati e quello della casetta di marzapane di Hansel e Gretel. Passavo le ore a studiarne i segreti costruttivi. Ero una bambina così timida e muta che la gente si accorgeva di me solo per le cose che fabbricavo con la carta. Poi è venuta la scuola, che odiavo con tutto il mio cuore, ma affrontavo da secchiona sempre perfetta, per non dover affrontare alcun genere di problema o contestazione. Per fortuna ci sono stati i Beatles e le mie prime vere amiche, Carolina e Stefania, grandi amiche, perché ci sono sempre da allora. Poi la scelta sofferta dell’Università, il dubbio tra Archeologia e Scenografia o scultura a Brera, il sogno impossibile di Astronomia (sono innamorata dello Spazio ) in quanto negata per la matematica, l’amore per gli animali e il vago pensiero di Veterinaria o Biologia e mio papá che mi salva e mi dice “fai Architettura come me, anche a me non piaceva tanto ma mi ha aiutato a trovare la mia strada”. È così Architettura fu, per niente amata all’inizio e poi digerita e terminata in gloria con una bella Laurea in Progettazione Architettonica con Franca Helg. Tutto con un grande senso del dovere, sempre. Un lavoro ottimo, immediatamente, con due bravissimi architetti, Marco Comolli e Giovanna Poli, amici per la pelle nonostante la grande differenza di età (Comolli è del 21). Tanti progetti tanti disegni, in fondo non mi dispiaceva il lavoro, ma forse perché avevo trovato due persone con una grande apertura mentale, che mi hanno sempre fatto sentire “a casa”. Lavoravamo per grossi clienti, per la Fiat o per ricchi indiani di Delhi. Spronata da Comolli che non ha mai stimato gli eterni dipendenti, mi sono messa a lavorare in proprio approfittando della pausa dovuta alla nascita di Thomas. O almeno ci ho provato. Non sapevo impormi, avevo tante idee, ma non riuscivo a farle valere sui clienti, che purtroppo erano quasi tutte donne aggressive della serie “a casa mia comando io”. Trovavo avvilente che i mariti si ritraessero dicendo “faccia tutto quello che vuole mia moglie”. Anzi “fai tutto”, mi davano sempre del tu, anche gli operai sul cantiere, non incutevo timore, con la mia frangetta e i jeans sembravo più giovane e non mi filava nessuno. Che angoscia. Mi ributto un po’ nei disegni, lavoretti di grafica e a fare decorazioni con la carta. Nel 1995 per fortuna il designer Nicola Gallizia, che sa della mia grande abilità manuale, mi propone di collaborare con il Salone del Mobile per Molteni, chiedendomi dei vestiti di carta. E così comincia l’avventura.

Qual è il filo conduttore delle sue creazioni, a cosa si ispira? Da dove e come inizia il suo processo creativo? La mia fonte d’ispirazione è il tutto che mi circonda, sono perennemente affascinata e incuriosita da quello che osservo senza sosta, come un rilevatore di visioni, che vanno da piccoli dettagli a scenari d’insieme. Microcosmi come quelli della Natura con i suoi decori sorprendenti, ali traslucide di insetti volanti, pistilli di fiori arrotolati in volute eleganti, granelli di sabbia mescolati a frammenti di conchiglie elicoidali o dell’Architettura, con i balconi di ferro battuto, le trame misteriose e damascate delle finestre delle moschee, gli intarsi preziosi dei vecchi pavimenti e così via. Macrocosmi come volte stellate o rocce lunari modellate dal vento, cieli solcati da aurore boreali o nuvole sfilacciate, mappe di città scrutate dai satelliti. Tutto nella mia testa si rielabora e si riassume nella forma di un abito, ne ispira la struttura oppure un suo dettaglio decorativo. Una specie di ossessione, un gioco di metamorfosi: mi nutro di belle illustrazioni nei libri oppure osservo camminando per strada un grattacielo o il muso di un’automobile, un ricciolo di ferro o una foglia e comincio a immaginare la trasformazione in un abito e soprattutto come si presenterà sul corpo che lo indosserà. Poi comincio a disegnare, non devo perdere l’idea. Sono disordinata e schizzo su dieci quadernini diversi e fogliettini sparsi, quindi continuo a perderle queste idee, ma poi a distanza di tempo, a volte, se sono forti, riemergono. Tutta questa maniacale concentrazione sull’abito, in una persona come me che non si è mai particolarmente interessata alla moda, che non sta attenta a come si veste o meglio, non ha il coraggio di osare per cui indossa quasi sempre una sorta di anonima divisa nera, per non essere notata più di tanto. Un piccolo segreto: da bambina a volte andavo ad accompagnare la mamma a fare la spesa vestita da Zorro, piccola esibizionista ma dietro la maschera nera e una lunga frangia che mi copriva gli occhi. In questo molto simile a mio padre, timido ma esibizionista in quello che sapeva fare molto bene.

Ho letto un aspetto del suo lavoro che trovo molto divertente, importante ed una forma di grande rispetto. E’ vero che lei per le sue opere usa gli scontrini fiscali o i documenti triturati? Ma anche i bordi forati dei tabulati del computer o gli avanzi di lavori di tipografia? È vero, mi piace dare nuova vita alle piccole cose quotidiane, come il gioco ironico di trasformare aride e pesanti carte della burocrazia in svolazzanti e vezzosi abitini: gli scontrini fiscali arrotolati a formare una gonnellina corta a palloncino simile ad una parrucca del Settecento, i bordi forati delle fatture fissati sull’abito e spettinati con le mani per dare l’effetto di una pelliccia, le strisce di belle carte avanzi di tagli di tipografia, arrotolati in riccioli preziosi. Boa di pelliccia di documenti riservati triturati. Faccio molta fatica a buttare le cose, prima di farlo penso e ripenso come potrei riutilizzarle. E’ un vizio comune a molte persone dotate di immaginazione.

Caterina la carta è un tessuto? La carta è protezione? No, la carta non è un tessuto. E’ forse l’idea, il progetto di un tessuto. Io uso la carta perché amo la carta e non ho dimestichezza con i tessuti, non so neanche cucire. Soprattutto non ho l’interesse di realizzare un abito che duri nel tempo, che diventi un modello riproducibile, non mi interessa la macchina della moda. Lavoro la carta come fosse un tessuto prezioso e voglio ottenere un risultato che in parte ne imiti l’aspetto, ma i miei abiti scultura sono delle immaginazioni, dei micromondi, delle scenografie, dei disegni tridimensionali come li descrive Gillo Dorfles. I miei sogni, that’s all. Se poi queste idee riescono a suscitare ispirazioni adattabili alla vera e propria moda, ne sono felice. Quando parlo ai ragazzi nei workshop che seguo sporadicamente nelle scuole di moda, scenografia e design, uso la carta come strumento progettuale. Penso che chiunque si approccia a questo mondo abbia più coraggio a sperimentare tagli, piegature o intarsi con un pezzo di carta piuttosto che un tessuto, d’altra parte da sempre esistono i cartamodelli!
La carta da sempre protegge: i nostri segreti scritti in un diario, le nostre lettere d’amore, la sorpresa dei regali che ci scambiamo, i pacchi che viaggiano, i biscotti del nostro thè, il packaging insomma. E i vestiti non sono in fondo il packaging dei nostri corpi? a volte nascondono le nostre forme infagottandoci discretamente a volte le rivelano in modo spudorato…

URBAN CORSET (ph. Emanuele Bestetti)
URBAN CORSET (ph. Emanuele Bestetti)

Mi racconta invece il suo ultimo lavoro, Morra Cinese (Sasso, Forbice, Carta) presentato ora con grandissimo successo a Milano? Morra Cinese ha la peculiarità di essere la mia prima mostra personale in una galleria d’arte milanese. Mi sono sempre divertita ad essere libera e a non legarmi ad un’unica realtà come può essere quella dell’Arte e dei luoghi ad essa deputati. Ho esposto sia sola che collettivamente in spazi di ogni genere, dai palazzi storici ai negozi, dai Saloni del Mobile ai fuori Saloni, dalle fiere ai festival, dalle chiese sconsacrate ai musei moderni, dagli atelier di moda ai teatri. Ho sfiorato i mondi del design, della fotografia, della moda, del teatro. Ho fatto sfilare modelle vestite di carta a ritmo di musica e collaborato con fotografi per raccontare con la carta personaggi incantati interpretati da uomini e donne in carne ed ossa. Ma è stato importante, come avevo fatto nel 2008 alla galleria Arkè di Venezia, poter esporre il mio lavoro nelle tre belle sale di Francesco Zanuso a Milano, la mia città. Una forma di riconoscimento più ufficiale di un percorso artistico tanto variegato. Il titolo è ironico, é un gioco che non tramonta mai, per raccontare la mia aspirazione di scultrice delicata, che avrebbe voluto cimentarsi con la pietra (il sasso) ma alla fine ha preferito il suo materiale preferito, la carta, trovando il modo di renderlo tridimensionale e il suo strumento più potente (la forbice), forse il primo utilizzato nell’infanzia. E sempre le mani, che servono a giocare a morra cinese, ma anche a modellare, piegare, stropicciare, curvare, arrotolare, spettinare la carta. In galleria ho esposto i lavori di diversi anni, alcuni pezzi rivisitati secondo una sorta di riciclo del riciclo, molti abiti illuminati al loro interno per dare sempre quell’impronta magica e scenografica che tanto amo e ama chi apprezza quello che faccio. Delle grandi semisfere medusoidi anch’esse luminose, più vicine ad oggetti di design, molto apprezzate.

APE-REGINA (ph. Emanuele Bestetti)
APE-REGINA (ph. Emanuele Bestetti)

Parliamo invece di suo padre Guido – uno dei più geniali e celebri fumettisti- ricordiamo tutti il personaggio di Valentina- che ricordo ha di lui? Che tipo di rapporto avevate, che uomo era? E soprattutto mi racconta il lavoro che state portando avanti con il suo straordinario archivio? E’ strano per me raccontare che ricordo ho di lui, perché come già dicevo, io mi sento in costante contatto con lui. Una volta, in un periodo che avevo un sacco da fare e mi sentivo in colpa perché la mia casa era un casino totale, lui è venuto a trovarmi in sogno e mi ha messo tutto a posto, addirittura ripiegando i miei vestiti abbandonati in giro per la stanza…Un’altra volta che dovevamo parlare dei suoi lavori fatti negli ultimi anni di malattia ( mio papá è morto a 70 anni di sclerosi multipla) con fatica e ostinazione, lui è di nuovo venuto a trovarmi in sogno la sera prima e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto essere presente alla conferenza….beh, il giorno dopo, alla Feltrinelli, ero molto in imbarazzo per quello che avrei detto e la sua visita in sogno mi ha sicuramente condizionata.
Papá era una persona estremamente complessa ed estremamente semplice nello stesso tempo. Ha inventato storie pazzesche con delle anticipazioni dei tempi da brivido, ha affrontato con coraggio e spregiudicatezza temi molto spinosi come il sadismo (la sua Justine del Marchese de Sade ), li ha sbattuti senza veli in faccia al pubblico in anni ancora non maturi, per gridarne il disprezzo e si é beccato del sadico, del violento e del sostenitore della donna oggetto. Ricordo la sua amarezza nel non essere compreso, lui pacifista disarmante, che fruste e guerre amava solo disegnarle, lui che stimava le donne e la loro complessità interiore oltremodo. Un taciturno che disegnava ogni giorno della sua vita a suon di musica in sottofondo, un chiacchierone se lo andavi a trovare nel suo studio, chiunque tu fossi, non faceva differenza, dall’amico grande intellettuale al garzone del panettiere.
Apprezzava i nostri disegni di bambini, che venivano addirittura incorniciati e messi al pari di quadri più importanti, le mie prime bamboline ritagliate nel cartoncino, se le appendeva con le puntine dietro la scrivania. Era un papà assente in quanto spesso immerso nei suoi disegni, ma in realtà sempre presente, a differenza di tanti padri, perché lavorava in una stanza della casa e potevamo andare a sbirciarlo tutte le volte che volevamo. E ci raccontava tante storie. Io e i miei due fratelli, Antonio il maggiore, autore di testi e con un lavoro di ufficio stampa alle spalle e Giacomo, il più piccolo, architetto, con l’aiuto della memoria storica della mamma, portiamo avanti l’Archivio della sconfinata produzione di nostro padre, dalle cover di dischi, alla pubblicità, alle storie a fumetti, e cerchiamo di tenerlo in vita con molteplici attività: mostre, nuove edizioni, eventi speciali, conferenze nei festival di fumetti internazionali, partnership con aziende che griffano i loro prodotti con le sue grafiche, a volte rielaborate da noi, ad esempio con l’uso del colore.

ALLOCCA
ALLOCCA (ph. Emanuele Bestetti)

Che rapporto ha con il mondo della moda e chi sono oggi i designer che sente più vicino a lei, al suo stile, alla sua personalità? Ho già detto del rapporto curioso che ho con la Moda. Non la seguo, se non superficialmente, non la prendo come spunto per il mio lavoro, preferisco inventare, non guardare i libri e le riviste di moda, per poi con piacere trovare delle corrispondenze con alcuni stilisti. Sicuramente mi sento in sintonia e affascinata dal lavoro ad altissimo contenuto artistico di Alexander McQueen, come dalle forme dei modelli di Issey Miyake, fatti di tessuto che a volte sembra carta. Dall’ironia di Moschino. Ho avuto l’onore di essere in mostra a fianco di Roberto Capucci tanti anni fa e di ricevere i suoi complimenti e il suo incoraggiamento a non arginare la mia vena creativa. Ho collaborato con Roberto Cavalli, rimasto affascinato dal mio modo di intagliare le sue carte da parati, trasformando macchie di giaguari e leopardi in pizzi preziosi, leggeri ed aerei. Interessanti le collaborazioni con Annagemma Lascari, Fabiana Bassani, Lisa Corti, DomoAdami, AcquaChiara Spose.

Quali sono i suoi prossimi progetti che ci può anticipare? In seguito alla mostra Morra Cinese e ai commenti dei visitatori e facendo poi due riflessioni con Francesco Zanuso, il gallerista, mi sono già fatta un’idea abbastanza precisa, della prossima mostra che vorrei presentare, non so come non so quando. Sará una mostra ispirata dalla mia formazione di architetto, saranno abiti, lampade, busti ed arazzi “urbani”, più grafici e pop rispetto alle misteriose creature degli ultimi anni, ninfe dei fiumi e dei boschi, crisalidi ed elfi fatte di radici e foglie. Vorrei idearla e realizzarla con mio figlio Thomas, che adesso ha 21 anni e che oltre ad essere musicista, da sempre disegna e inventa mappe di città secondo me molto affascinanti. Potrebbe essere nel nuovo spazio in via Ariberto 31 a Milano, dove lavorerò ai miei nuovi progetti e continuerò a condividere con i miei fratelli nuove iniziative per l’Archivio Guido Crepax. Lo spazio, che contiene anche lo studio di Architettura di mio fratello Giacomo e di Giulia Fontana, è appena nato ed ancora in via di definizione, ma ospiterá anche una galleria dove esporre i nostri lavori e quelli condivisi con amici, artisti, fotografi e designers, in sintonia con la nostra storia. In marzo partiremo alla volta di New York per la prima mostra americana di disegni originali di nostro padre. E a breve sarà presentata una nuova bellissima collana di libri con la sua opera completa realizzata dalla casa editrice Fantagraphics di Seattle. Parteciperò alla prossima grande mostra collettiva del Museo del Design della Triennale, che si terrà nella prossima primavera, con un mio pezzo storico, del 2000, un arazzo dal nome “Sott’acqua di carta”. Probabilmente terrò alla Sapienza di Roma, alcune lezioni al corso di Design. Poi, tanti progetti messi da parte, spero pian piano prendano forma. Tra questi uno mi sta particolarmente a cuore perché sta nascendo insieme ad una persona per me molto speciale: una mostra/ performance fatta dei miei abiti scultura indossati da un bellissimo ballerino e delle foto realizzate da Giovan Battista d’Achille, fotografo di moda, innamorato del mio lavoro e io del suo e….questo basta, amore a prima vista. Tutto insieme al mio valido elfo Emanuele Bestetti, scenografo conosciuto ad un workshop di Margherita Palli alla Naba, che collabora da tempo alle mie follie con grande entusiasmo, idee e grande manualità. Prima c’era anche Ilaria Berardi, ci siamo divertiti molto a realizzare tanti progetti, spero sempre che un giorni ritorni…

Caterina e suo padre Guido Crepax
Caterina e suo padre Guido Crepax

Come si rilassa Caterina Crepax quando non lavora? Che cosa le piace fare? E’ difficile che riesca a staccare dal mio lavoro di continua ricerca creativa, dalla mia smania di cercare spunti, elaborare visioni e immaginazioni e renderle disegni e poi oggetti tridimensionali. Non ho mai saputo per mia fortuna cosa fosse la depressione o la noia, anche nei miei momenti piú difficili o meno stimolanti. Chi ci riesce a portarmi via da tutto é il mio fidanzato, il grande amore che ho trovato da soli due anni, proprio quando volevo dare un taglio deciso all’idea di una vita di coppia felice, dopo tanta delusione e disicanto, la persona con cui condivido passione, immaginazione, grandi letture, film, racconti di fantasia che ci facciamo a vicenda, lettere scritte a mano, una grandissima curiosità nei confronti del mondo e delle persone, lunghissime camminate in giro per Milano e per il mondo. Un raffinato esteta. Mi piace molto il suo modo di osservare le cose contemporaneamente con il suo lato maschile e quello femminile. Anch’io credo di farlo, a volte non so se sto pensando come una donna o come un uomo. Anche mio padre, che si è “permesso” di parlare con la testa di un uomo nel bellissimo corpo di una donna, Valentina, la sua creatura di carta, divenuta modello per tante donne e sogno erotico per tanti uomini. Mi piace moltissimo il cinema, più che i film che vedo, proprio il cinema, la sala buia e l’entrare nelle storie, per poi uscire dal retro tutti frastornati e dover rientrare nella realtà. Mi rilassa quando non ho fretta, guidare nel traffico di Milano con le musiche dei film a tutto volume e anche lì immedesimarmi negli eroi, nelle donne guerriere di Sparta, nei cavalieri scozzesi o nei piloti delle missioni impossibili dello spazio, nei supereroi che volano tra i grattacieli o nelle creature fragili di Avatar. Mi rilassa l’acqua, dalla vasca da bagno al mare. Mi piace cercare cose, che siano sassi, semi o piccoli oggetti perduti per strada. Anche Milano, con le sue strade che conosco a memoria, a volte si trasforma in altre città, altri luoghi lontani, basta che cambi la luce e…magia, con la fantasia sono ovunque.