Taglio e cura “maniacale” del dettaglio. Precisione, sottrazione, dedizione e riduzione degli elementi per arrivare a cogliere l’espressione pura dell’abito, quella che spesso ne amplifica il suo significato.

E’ proprio vero che Gabriele Colangelo ha un approccio quasi “chirurgico” con le sue collezioni. Bellissime oltretutto. Perché lo stilista – vincitore di “Who is on Next?” nel 2008, e sempre nello stesso anno al debutto con il suo marchio – ma che nel suo percorso questi anni ha prestato il suo talento come Direttore Creativo tra gli altri, a marchi quali Borbonese e Genny – al ruolo della ricerca e sperimentazione ha dato in toto una posizione di assoluto primo piano.

Gabriele Colangelo
Gabriele Colangelo

Una capacità di dedizione, la sua, decisamente allenata e che nasce sì dal carattere – il suo è schivo e riservato – ma anche da una “forma mentis” plasmata e formata dai suoi studi classici che sono non solo bagaglio culturale ma anche elementi-maestri di educazione mentale: alla precisione e di nuovo al rigore.

L’ho incontrato questa settimana per Focus On per parlare con lui del suo lavoro, del minimalismo, e delle novità che lo riguardano, tra le quali anche la nuova collezione di accessori.

Gabriele ho visto una sua intervista tv dove raccontava che il suo sogno era quello di diventare un insegnante di latino e greco. Che cosa è successo nel frattempo? Ho assecondato la mia naturale inclinazione al disegno, che avevo sempre coltivato anche durante gli anni dei miei studi classici. Quella, che era una passione personale, è diventata poi il mio lavoro, anche favorito dal background familiare – i miei genitori sono pellicciai. La formazione umanistica è stata importante, non solo come bagaglio culturale, al quale attingo per creare le collezioni, ma anche come metodo mentale di lavoro, che tuttora applico. Gli studi classici abituano a rigore e precisione, nonché anche ad una allenata capacità di dedizione.

Lei ogni stagione ha, di base, degli artisti che l’hanno ispirata per quella collezione. Penso per esempio a Wolfgang Tillmans, oppure Joachim Bandau e al pittore russo Kazimir Malevic per quella dell’Autunno-Inverno 2014-2015. Come si traduce il lavoro di un artista (che lei ama) su un suo abito? L’ispirazione tematica artistica costituisce un riferimento per dare un messaggio ed una direzione precisa alla collezione; nello specifico si traduce in una selezione e ricerca materica che interpreta quel concetto di minimalismo organico, presente anche negli artisti, dalle cui opere sono attratto.

Ci racconta invece come sarà la donna di Gabriele Colangelo per la prossima Estate 2015? E come si è evoluta in questi anni? La collezione Primavera-Estate 2015 è decisamente più rilassata e decostruita, con soluzioni tessili volte ad aprire le fibre con tagli laser, che attraversano le superfici, lasciando intravedere il corpo. Del passato ho mantenuto il rigore, il taglio chirurgico dei capi, il gusto minimalista, ma l’occhio è proiettato al futuro attraverso architetture meno rigide e ricerche di tessuti che siano jacquardati ma leggeri e preziosi, come il degradè di organza e filo di rame, presentato nell’ultima collezione.

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Ho letto che lei non ama tanto apparire (se non sui magazine), e che è una persona molto discreta e non amante degli esibizionismi. Cosa pensa di ciò che nelle ultime sfilate stiamo vedendo a Milano ovvero personaggi singolari (bloggers; o semplicemente amanti della moda) che pur di apparire nelle foto di street-style azzardano dei look discutibili? E’ moda anche questa secondo lei? La moda dell’eccesso? O solo puro esizibionismo? Non amo l’esibizionismo ed in generale l’eccesso fine a se stesso, che in quanto tale reputo a tratti grottesco. Preferisco che il mio lavoro parli per me piuttosto che apparire di persona: è anche una questione di carattere (il mio piuttosto schivo e poco incline alla mondanità), anche se mi rendo conto che il ruolo di designer necessita di visibilità ed esposizione. L’attuale cultura d’immagine appaga l’immediato visibile e di superficie, trascurando talora il significato di un pensiero e la ricerca. La moda, essendo sempre più fruita attraverso internet, assume tuttavia una bidimensionalità comunicativa che sicuramente non giova, specie a stili che, come il mio, vivono di dettagli e sperimentazione, non immediatamente percepibili allo sguardo.

In tempi cosi critici… la moda e lo stile secondo lei dove sono diretti? Sicuramente lo stile deve indirizzarsi ancor di più alla qualità, di pensiero in primis, quindi di materia e confezione. È questo l’unico modo per tutelare il nostro lavoro dal mass market, garantendone unicità e limitata riproducibilità, nonché salvaguardando il valore di eccellenza del made in Italy.

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Cosa rende oggi una collezione vendibile? Difficile dirlo, sinceramente. Peraltro non credo che la formula sia semplice, univoca ed universalmente applicabile. Quello che per alcuni brand è vendibile per altri non lo è assolutamente. Ciascuno di noi cerca la sua chiave di lettura, creando capi che abbiano un buon equilibrio tra idea creativa(fondamentale), vestibilità ed un rapporto onesto tra qualità e prezzo.

Mi racconta del suo nuovissimo progetto/capsule di accessori? Perché nasce? Al momento si tratta di una proposta capsula (5 modelli a stagione), che coniuga attenzione al design e funzionalità del prodotto, realizzata in materiali preziosi con finiture artigianali. L’accessorio costituisce decisamente una modalità più immediata di penetrazione del mercato e di consolidamento della brand awareness.

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Tra i suoi colleghi chi stima particolarmente per il suo lavoro? Ci sono diversi colleghi che stimo, della mia generazione i Proenza Schouler. Come brand mi piace molto Acne Studios.

Quali sono i suoi prossimi progetti? Nell’immediato vorrei sviluppare al meglio la collezione accessori e rendere più completa la mia proposta, anche con la parte di pellicceria, che poi da sempre rappresenta il mio dna.

La sua moda può essere definita minimalista? Se per minimalismo si intende l’operazione di sottrazione e riduzione degli elementi volta ad una espressione più pura, per amplificarne il significato, attraverso precisione, quasi chirurgica, di taglio e cura del dettaglio, allora certamente sì. C’è una scorretta interpretazione del termine minimal, che, nella sua accezione deteriore, liquida al limite del banale quel che appare semplice e formalmente clean. Poi però bisogna andare più a fondo, scoprire come realmente sono i capi, la loro costruzione (che par semplice mentre in realtà non lo è affatto), conoscere le scelte materiche, che cambiano l’aspetto del tessuto e gli danno nuova forma, guardare le finiture, studiate per rendere ogni pezzo speciale ed esclusivo….e quel che sembrava minimal racconta una storia intensa e ricca di sfaccettature.

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